C'è
un certo tipo di letteratura che di recente ho iniziato ad
apprezzare particolarmente, e che credo dia il suo meglio nella forma
breve del racconto – forse perché necessita di uno sforzo corposo
da parte del lettore, che deve tirare quasi fino al punto di rottura
la sospensione dell'incredulità. È la letteratura dell'assurdo, del
realismo magico, dell'elemento impossibilmente bizzarro che si infila
di colpo nella struttura di un mondo realmente possibile, normale,
con tutte quelle leggi fisiche e sociali che riconosciamo come
nostre. Non tutto ciò che è surreale e grottesco rientra nella
specifica categoria che delimito arbitrariamente: benché verrebbe da
definire le situazioni in esame kafkiane, non annovererei
Kafka – che ritengo comunque e indiscutibilmente my boi – in gli
scrittori di queste opere; nei suoi racconti si fanno largo
contingenze assurde che mettono un freno definitivo allo scorrere
dell'esistenza dei personaggi, e il punto non è come cambierà la vita del signor K. in relazione al processo, o come farà a vivere Gregor Samsa da scarafaggio, ma le loro brevi ed estenuanti battaglie, il riconoscimento del paradosso del vivere che soffoca ogni tentativo di significazione.
Non
valgono nemmeno le storie che giocano con l'assurdo accettandone la
qualunque, come accade nella meraviglia surrealista che è La schiuma
dei giorni di Boris Vian. Le opere cui mi riferisco sono quelle in
cui l'arrivo del perturbante viene con difficoltà digerito, e il
perturbante assimilato, burocratizzato. Sono spesso opere
strampalate, certe volte di difficile lettura, perché a questo punto
la narrazione si concentra più su questioni spicciole, eminentemente
banali – in Le intermittenze della morte, Saramago non si
concentra esplicitamente sul senso della vita, dell'amore o della
morte, ma si interroga su come potranno sopravvivere le agenzie di pompe
funebri in un mondo senza morte, sugli incresciosi accordi tra stato
e mafia locale, sulle questioni teologiche su cui la chiesa si
trova costretta a interrogarsi. Il romanzo di Saramago, si vede
bene, rientra di diritto nel pieno delle letterature dell'assurdo di
cui mi va di chiacchierare.
Quella
che è forse l'opera più famosa Nobel portoghese ha inizio nel
momento in cui la morte, di punto in bianco, decide di scioperare per
diversi mesi, in modo da far comprendere all'umanità l'essenzialità
del proprio servizio. Buona parte del romanzo è riservata a come la
società umana, delimitata dal paese mai nominato prescelto per
l'esperimento della morte, gestisce a livello politico, mediatico e
sociale l'interruzione dei decessi. Gli attori non hanno un nome
oltre a quello del proprio ruolo; il direttore delle
telecomunicazioni, il primo ministro, la regina madre sospesa in uno
stato di eterna non-morte. L'inconcepibile, l'inimmaginabile,
l'assolutamente fantasioso diventano questioni meramente pratiche.
L'assurdità prende possesso della pagina diventando un insoluto
sottotesto che non si sente il bisogno di mettere in discussione.
Il
mio primo incontro – o almeno, il mio primo incontro consapevole –
con questo genere di letteratura è stato pochi anni fa con Martin
il romanziere di Marcel Ayme, un'antologia di racconti incentrati
sulle esperienze impossibili dei protagonisti, e dei loro universi. È
il caso del primo racconto, in cui uno scrittore lamenta una nuova
legge appena passata, che decurta un tot di giorni di vita ogni mese
a coloro che vengono giudicati, a vario grado, “inutili”; nella
novella che mi è rimasta più impressa gli anni passano dal contare
dodici mesi a contarne ventiquattro, e la protagonista si ritrova da
diciottenne appena fidanzata, a vestire i panni di una bambina di
nove anni. In entrambi i racconti assistiamo alle conseguenze
improbabili che la promulgazione di strane leggi opera su fisica e
biologia. Nel primo racconto, le persone a cui vengono decurtati i
giorni, davvero cessano di esistere per l'interezza della settimana.
Nel secondo basta che i giorni che compongono gli anni vengano
legalmente raddoppiati perché le persone ringiovaniscano di colpo.
L'impossibile è stato burocratizzato; in un certo senso, la
burocrazia è stata resa surreale.
Un'opera
che sto leggendo con particolare piacere in questo periodo è Il
libro dei mostri
di J. Rodolfo Wilcock. Si tratta di una lunga serie di descrizioni
di personaggi impossibili, veri e propri mostri, persone che per
contingenze non sempre spiegate – e se spiegate, secondo logiche
assolutamente irrealistiche – o talvolta per nascita o per
particolare predisposizione, diventano impossibili. C'è chi non ha
spessore, chi si trasforma in un demone, chi secerne costantemente
olio, chi diventa completamente liquido eppure resta in vita. Sono
racconti brevissimi, che in pochi casi raggiungono le tre pagine.
Fotografie scattate a esistenze inconcepibili, la lente sulle
conseguenze scomode o pesantissime, su momenti di scomodità o
trionfo. Esiste questo personaggio, e la sua vita va così; avanti un
altro, ancora più assurdo.
La
biblioteca di Gould è
la raccolta con cui sono entrata felicemente in contatto con Bernard
Quiriny e le sue bizzarrie meta-narrative. L'opera si compone di tre
parti, Una
collezione molto particolare,
dedicata alla biblioteca di Gould, in cui vengono esposte le
categorie più bislacche con cui l'uomo ha raccolto i suoi volumi;
Dieci
città,
in cui Gould narra di città immaginarie caratterizzate da qualità
sempre più assurde; e La
nostra epoca,
in cui vengono raccontati cambiamenti estremamente bislacchi – e
ovviamente impossibili – avvenuti nella popolazione.
Unica
opera italiana dello scarno elenco è La
meravigliosa lampada di Paolo Lunare
di Cristò, benché le atmosfere di Mari e di Landolfi talvolta
sterzino in quella direzione. In questo brevissimo romanzo Paolo,
felicemente sposato con Petra, trascorre da tre anni tutte le sere in
garage, cercando di costruire una lampada che riproduca esattamente la luce del sole come regalo per
l'anniversario di matrimonio, senza dare alcuna spiegazione alla
moglie. Riuscito nell'intento, scopre di aver prodotto un oggetto
molto più prodigioso – meraviglioso – di quanto avesse intenzione di
fare; capita l'assurdo, e il mondo continua a scorrere con tutta la
sua mortalità, i suoi dubbi irrisolti, le fatiche emotive. Il
perturbante scivola nella trama senza arrivare al tessuto
burocratico, ma fermandosi nella quotidianità di Paolo e di Petra.
Questo
è il punto prima del punto finale, quello in cui ammetto che questo
breve elenco potrebbe essere molto più lungo, se solo avessi
approfondito Julio Cortàzar oltre i pochi racconti che ho piluccato
nel suo Bestiario,
o Jorge Luis Borges, la cui scrittura rigonfia un po' mi allontana –
nonostante la fascinazione di quel poco che ho letto da Finzioni.
Se avete consigli per ampliare la biblioteca, li accetto volentieri –
noto peraltro che non mi viene nessun titolo scritto da una donna, se
vorrete risolvermi questo gender gap mi fate contenta.