Da brava conoscitrice dei miei polli – intesi come
editori che cercano di ridurre l'invenduto per questioni sia
economiche che logistiche – attendo ogni anno l'ultimo giorno del
Salone del Libro per fare i miei acquisti. D'altronde anche gli
editori conoscono i loro polli – dicasi i lettori con problemi di
gestione delle finanze – e lanciano ghiotte esche promozionali;
3x2, 50% sul prezzo di copertina, sconto calcolato sulla simpatia o
sul “presto che dobbiamo chiudere gli scatoloni”.
Quest'anno ho trascorso le ultime ore del Salone del
Libro a dilapidare un patrimonio e a infastidire Giorgio e Marco di
Zona 42, che ho intervistato dopo la chiusura della fiera insieme a
Andrea di Edizioni Hypnos. È anche l'ultimo stand cui ho fatto
acquisti – con una scontistica imbarazzante e un volume regalato,
ero rimasta così a secco che Giorgio si è offerto di offrirmi il
biglietto della metro, mannaggia a me e a quando mi è partito
l'acquisto compulsivo, mi sono fatta due settimane a pasta e
scatolame.
Dicevo che gli ultimi acquisti li ho fatti alla Zona;
Cenere di Elisa Emiliani, Ad Astra di Antonio de'Bersa
(il graditissimo omaggio) e Madre Nostra di Stefano Paparozzi,
che sarebbe poi il romanzo di cui chiacchiererei oggi.
Per un certo periodo se ne è parlato parecchio; vedevo
spuntare qua e là la copertina, titoli entusiastici di recensioni
che non leggevo per non rovinarmi la sorpresa. Avevo colto un unico
punto, certamente centrale, della trama: la protagonista rimane
incinta autonomamente, dal nulla. In che modo la questione venisse
affrontata, non lo sapevo. Da quale angolazione, prospettiva, con
quale linguaggio. Non ho letto neanche la quarta di copertina, mi
sono buttata su Madre Nostra senza avere una vera e propria
idea di quanto vi avrei trovato.
Il romanzo coincide perlopiù con il diario della
protagonista Miriam, quello che la psicologa le ha consigliato di
tenere per sfogarsi e analizzare a mente fredda la sua situazione.
Brevi e rari intermezzi del biografo di Miriam, detta la Madre delle
Moltitudini, forniscono una chiave di lettura e una
contestualizzazione più precisa. Fin dall'inizio, grazie al
biografo, sappiamo che Miriam acquisterà una fama controversa, che
si ritrarrà dalla chiesa che fonderanno in suo nome. Che il suo
diario era inizialmente su carta e poi è passato a un file word, che
la stessa Miriam ha rivisto più volte.
Alla prima gravidanza, Miriam ha appena dodici anni e la
reazione della famiglia è esattamente quella che ci si aspetterebbe:
prove e controprove in ospedale e poi via in questura a cercare di
fare chiarezza. Straziante la parte in cui Miriam si rende conto dei
sospetti che ricadono sul fratello maggiore, e delle ripercussioni
che questi sospetti hanno su di lui, un ragazzino di quindici anni.
Miriam porta avanti la gravidanza, partorisce Gloria e intanto va
avanti con la sua vita. Ha un'amica del cuore, Vanessa, si iscrive
con lei al liceo, si innamora di un amico del fratello. E poi resta
di nuovo incinta, sempre di una bambina. Questa volta il caso approda
alle grinfie della stampa e Miriam diventa suo malgrado una
celebrità. Un istituto privato si offre di studiare il suo problema,
in cerca di una soluzione per lei e di un rimedio contro la
sterilità. La figura della psicologa diventa per lei centrale, e col
tempo si aggiungono altre figure che la guideranno poco a poco
nell'accettazione di un culto a suo nome.
Sia chiaro, non ci sono enormi complotti sotterranei,
enigmi e fughe precipitose. Miriam è una ragazza normale, la sua
famiglia è normalissima e il modo in cui sono condotte le ricerche
sul suo caso non ha nulla di improbabilmente sospetto; Paparozzi non
ha voluto raccontare una storia su un complesso impianto di intrighi
sorretti dall'inconsueta capacità di Miriam. Paparozzi ha preso
un'incongruenza biologica che nella nostra cultura è investita di un
significato religioso immediatamente riconoscibile, e l'ha impiantata
nella vita di una ragazzina che non ha nulla di inconsueto. Miriam è
una normalissima adolescente, e poi una normale donna che si deve
confrontare con una situazione inedita che influenza in modo
pervasivo la sua vita, e lo fa con l'aiuto di un diario personale che
è il romanzo che andiamo a leggere.
Mi chiedo se Paparozzi non avrebbe dovuto o potuto osare
di più, scrivendo Madre Nostra, per quanto riguarda le grandi e
piccole cose umane che acquistano un'importanza mai vista per chi le
vive. Quello che Miriam racconta sul diario è spesso collegato alle
sue gravidanze, il che ha senso, perché condizionano
irrimediabilmente le sue giornate; eppure non riesco a fare a meno di
chiedermi se la gravidanza non abbia fagocitato parte di quello che
sarebbe stato il vissuto quotidiano di Miriam, quello spicciolo di
fattarelli, ipotesi, simpatie e antipatie.
Non che Madre Nostra sia spoglio di tutto tranne che
delle gravidanze di Miriam, anzi. È fatto di Miriam e del suo
rapporto coi genitori, col fratello, la psicologa, i fondatori del
suo culto – la Madre delle Moltitudini. Forse mi scoccia soltanto
che Miriam non abbia avuto una vita normale.