Un ragazzo d'oro di Eli Gottlieb

Come dire. Iniziamo dal titolo, Un ragazzo d'oro, e poi passiamo all'autore, Eli Gottlieb, e arriviamo a traduttrice (Assunta Martinese) e casa editrice (minimum fax). All'uscita se ne era parlicchiato abbastanza, e i pareri erano unanimamente positivi. Le citazioni che mi capitavano sotto gli occhi mi piacevano, anche se non saprei spiegare com'è che mi avevano convinta così tanto, perché a leggere il romanzo non ho poi trovato quelle due-tre righe che vanno a formare il perfetto lit-tweet. Sta di fatto che Un ragazzo d'oro l'ho iniziato ieri sera per finirlo poco fa, - ora che scrivo non è neanche mezzogiorno, quindi non mi ci è voluto neanche un giorno intero, ed è un po' che non mi capita.



Il protagonista e narratore è Todd Aaron, tra i quaranta e i cinquant'anni, autistico. Sull'autistico ci torniamo dopo, che c'è un sacco da dirne, intanto concentriamoci sul resto, sulla trama. Todd abita da decenni in una comunità che raggruppa individui con vari disturbi ed è considerato un veterano, un ottimo esempio per il fatto che segue sempre le direttive, prende sempre le sue medicine, accetta la guida degli educatori lungo le sue giornate, le sue settimane, la sua intera vita. Ha le sue crisi, i suoi volt, e le sue antipatie, le sue difficoltà. Ricorda la sua infanzia traumatica col padre violento, col fratello parimenti violento – redento, in età adulta, e benché lo sguardo dell'autore mi sembri volerla fare facile, mi viene da dire che “non è poco” – e una madre che “ci ha provato” – e qui il mio sguardo non riesce proprio a coincidere con quello dell'autore, perché il “ci ha provato” della madre raccontata come angelo salvifico fonte di ogni bene c'entra molto poco col mio più terra terra “no aspetta, 'sta tizia comunque ha fatto poco e niente per Todd, per l'altro figlio men che meno, che non è che se uno è sano allora che s'impicchi per i cavoli suoi in barba alle sue esigenze di fanciullo, e il marito necessitava di essere incaprettato molto prima della sua morte naturale”.

(La mia coinquilina è cortesemente entrata per dirmi una roba sulla bolletta dell'eni e si è beccata una preview mezza urlata del romanzo inframezzata da sentiti “ma mi è piaciuto”. Merita la vostra comprensione, santa coinquilina, - peraltro la sua libreria è la mia biblioteca, inneggiamo a lei).
Torniamo velocemente alla trama, che comunque fila abbastanza lineare; Un ragazzo d'oro è la storia di Todd nella comunità, di un paio di incontri significativi, della sua voglia di tornare nella casa in cui è nato, dell'Idea che lo ossessiona. Il suo passato, i suoi traumi, le chiavi di lettura per comprendere appieno il suo presente.
Ed è un bel libro, è ben scritto, ben strutturato, pieno di ottimi propositi. Non tace sulle brutture e sulle mancanze del sistema sanitario americano, sulla gestione delle comunità, e sono pronta ad affermare che tutto sommato, considerato quant'è difficile l'uso della prima persona quando il narratore è autistico, l'ardua prova sia stata superata.
I miei problemi con questo romanzo sono due, e sono entrambi abbastanza personali, – posso sbagliarmi? Eccome. Questa recensione mi scotta le dita. Il primo problema sta nel fatto che mi pare Gottlieb abbia tracciato una linea nettissima tra i personaggi buoni e quelli cattivi. L'educatrice preferita di Todd, per dire, è buona. Quello che gli sta antipatico fin dal primo giorno, invece, è cattivo. Suo padre e suo fratello sono cattivi, sua madre e la moglie del fratello sono buone, e così via. Tutto bianco, tutto nero, niente di grigio.
C'è da considerare certamente la possibilità che Gottlieb volesse instaurare nel lettore la consapevolezza del mondo vissuto agli estremi da Todd; non sarebbe la sua visione, ma quella di Todd, a tagliare con l'accetta gli altri personaggi. Eppure per il modo in cui i fatti vengono narrati e per il finale, qualcosa mi suggerisce che il problema non sia di Todd, ma proprio di Gottlieb.



L'altra nota stridente del romanzo, io giuro che mi è piaciuto e pure tanto, ma non posso fare a meno di puntare il dito sugli elementi che mi sono cacofonici, anche perché sennò potevo pure evitare di aprire un lit-blog – è il modo in cui Gottlieb racconta il mondo da dentro l'autismo. O meglio, il fatto che a volte racconti l'autismo e non Todd.
Sono argomenti di cui chiacchieravo recentemente; nella mia bolla di conoscenze – più che una bolla è un insieme di bolle più o meno grandi, accomunate da una voglia fortissima di prendere un argomento e sezionarlo – il tema “disturbi mentali”, “rappresentazione della neurodiversità” e analoghi vanno per la maggiore, specie ora che viviamo in uno strano periodo in cui i media sembrano ossessionati dal magico mondo delle malattie mentali. Uno dei problemi che ho riscontrato con molti dei miei interlocutori, e con varie opere di narrativa, è che a volte si finisce a parlare del disturbo anziché della persona, come se il primo inglobasse l'altra. Ma si tratta di istanze separate, anzi, di un'istanza e di una variabile, di una volontà e di un problema che si deve imparare a gestire.

Se dovessi descrivere Eli Gottlieb partendo dal romanzo in questione, direi che è davvero un ragazzo d'oro. Nel senso che mi dà l'idea di essere una persona buona, che ci prova, che vuole offrire un contributo significativo a una causa che gli sta a cuore. Questo romanzo è pieno di cuore, e si vede, si sente. Ed è bello. Ma allo stesso tempo ho l'impressione che Gottlieb non abbia introiettato pienamente ciò di cui parla. Narrativamente parlando, Un ragazzo d'oro è una palla liscia, senza asperità, che scivola libera, leggibilissimo eppure profondo. Ma se penso alla voce narrante mi viene da storcere le labbra ed esalare quel “eeeeeeeh” acuto che è la risposta che dà chi non ha risposte edificanti. Se seguite Breaking Italy, sapete di cosa sto parlando. Ci tengo a sottolineare che non c'è paragone tra Todd e Sheldon Cooper, stiamo parlando di livelli che neanche si sfiorano. Todd non è una macchietta, chiariamoci, ma non è neanche una persona in pieno.
(sì, lo so che potrebbe anche essere l'intenzione dell'autore, l'ho messo in conto, non credo sia il caso. comunque alleggerirò il discorso con un ottimo meme. meno male che abbiamo i meme).


Quindi? Quindi Un ragazzo d'oro è un gran bel libro che si legge in meno di un giorno e ti infila in testa pensieri interessanti. Può dare noia ai puristi della macchina-cervello ma, ehi, vi ricordate quando Sherlock Holmes si autodefiniva sociopatico ad alto funzionamento e nonostante fosse una diagnosi che non stava in piedi manco a coprirla col mastice ce ne fregavamo fortissimo e continuavamo a guardare Sherlock BBC?
Ecco. Quello.