Non scrivo stroncature. Quasi mai.
Dico “quasi” perché ne ho scritte un paio ancora
agli albori del blog, che ai tempi era molto più “personale” di
quanto non sia adesso. Cominciavo ogni recensione chiacchierando
bellamente dei fatti miei per paragrafi e paragrafi – come avevo
dormito? Con cosa avevo fatto colazione? Umore? C'era il sole? – e
c'è da dire che forse forse
forse
un po' esageravo. Ma tanto lo sto facendo anche adesso, quindi...
Anzi, vediamo di annegare come si conviene nelle vecchie
e vituperate abitudini: ho dormito maluccio, ho fatto colazione con
muesli e caffè latte, sono abbastanza contenta e credo che se mi
decidessi ad alzare le serrande mi troverei davanti un cielo
ingannevolmente azzurro, che poi per uscire devo comunque bardarmi
come un crociato.
Dicevo, non scrivo stroncature.
Questo post un po' raffazzonato nasce dalla lettura di
un articolo sull'Indiscreto, Addio stroncature, scritto
da Federico Di Vita. Parole sante, nel loro conglomerato semantico.
La critica letteraria ha perso d'importanza e spessore, la
discussione si è fatta sterile ed emaciata, coloro che scelgono di
affossare un'opera che se lo merita – giustamente o meno – spesso
seguono le orme di un personaggio che si sono costruiti, tipo Il
signor Distruggere dell'editoria, ma con basi un po' più solide di
screenshot falsi.
Della critica negativa c'è bisogno, la divergenza di
opinione stimola il dibattito. Se non c'è chi ammette di trovare un
elemento sbagliato, cacofonico, malamente posizionato all'interno di
una trama, diseducativo o che altro, come si fa a instaurare una
discussione sul perché quell'elemento è sbagliato? Magari non lo è.
Magari la comunità arriverà alla conclusione che l'elemento può
essere scomodo ma, di fatto, innocuo. Chissà.
Ma da qualche parte bisogna cominciare, e le stroncature
sono un ottimo punto di partenza.
Io però non ne scrivo. E poiché trovo che siano cosa
buona e giusta, ci terrei a specificare perché. Che magari può
venire fuori una chiacchierata interessante.
Chi scrive stroncature, deve leggere fino in fondo
un'opera che non gli piace. Deve sacrificare tempo e diottrie per
qualcosa che non gli dà nulla, magari con lo smacco di decine di
volumi in attesa sul comodino. Io leggo perché amo leggere, e se
qualcosa non mi piace bom, via dai miei occhi, tornatene in
biblioteca e a mai più rileggerci. So che molti si impuntano a
finire tutto quello che iniziano, ma io non ho mai capito cosa li
spinga a farlo. Mia madre è rimasta mesi a boccheggiare su un
romanzo piuttosto lungo di cui si lamentava tutte le volte che ci
sentivamo, per me una simile tortura auto-imposta è inconcepibile.
Una stroncatura deve essere puntigliosamente
argomentata; sappiamo bene che una critica negativa necessita di
essere contestualizzata, laddove non se ne sente il bisogno per un
complimento di intensità pari e contraria. Chi critica deve essere
inattaccabile, visto che in un certo senso sta attaccando. E questo
si traduce in uno smantellamento dell'opera crudo e spietato – e
non tutti siamo a nostro agio nello smantellare gli altrui sogni.
Un'altra motivazione, effettivamente un po' paracula, è
il fatto che spesso un romanzo scadente è quello che scegli a scatola chiusa, e viene da esordienti, magari
pure da editori piccoli e claudicanti. Ci sono casi in cui stroncare
è infierire, e il silenzio pare una risposta preferibile alla gogna
pubblica.
Ma credo che la ragione più importante dietro la mia
non-presa di posizione (che alla fine è più il frutto di un
istintivo “non me la sento” che di una riflessione obiettiva
sulla materia) sia che la stroncatura, secondo me, dovrebbe toccare
temi importanti, interessanti, magari storico-sociali-economici etc.
Dovrebbe valerne la pena, ecco. Magari partendo da un romanzo scadente si
arriva a una concezione malata del mondo che vogliamo sbrogliare, o
magari c'è uno sperimentalismo esasperato che ci pare retrogrado o
inefficace. Possono esserci moltissimi motivi per cui un'opera ci
risulta misera, ma per guadagnarsi una stroncatura, e dunque
una sovraesposizione rispetto ai meriti letterari, dovrebbe avere qualcosa da dire. Deve esserci un buon argomento su cui
arrovellarsi, sennò che senso ha? Ne ho letti, di libri brutti, e un
paio di stroncature, come dicevo all'inizio, le ho pure scritte. Ma
non sono molto più che una leggera e ridanciana lamentela sugli
elementi che mi erano sgraditi. E in questo caso, ne vale la pena?