Madonna col cappotto di pelliccia di Sabahattin Ali


Ho finito di leggere Madonna col cappotto di pelliccia di Sabahattin Ali, nella neonata edizione Fazi tradotta da Barbara La Rosa Salim (e speditami dalla casa editrice, che non manco di ringraziare perché mi fa scoprire un sacco di libri belli) ieri sera, con la gatta addormentata spalmata contro un fianco, il sonno che iniziava un po' a profilarsi all'orizzonte ma non troppo. Quello stato in cui ti chiedi se sia il caso di terminare la lettura di un libro, che tanto mancano poche pagine, però ti spiace per quel bisogno tanto frequente di chiudere le palpebre e rilassare gli occhi.
Alla fine l'ho finito, e mi ha lasciato con qualche osservazione e un paio di analogie. Ma andiamo con calma.
Sabahattin Ali è stato uno scrittore, poeta, giornalista e professore turco; è nato nel 1907 in Egridere, ha studiato a Istanbul, ha vinto una borsa di studio che l'ha portato a vivere in Germania per due anni dal 1928 al 1930, prima di tornare a stabilirsi definitivamente in Turchia, dove insegnerà alle superiori. Parallelamente alla carriera letteraria e accademica, portava avanti rivendicazioni di carattere politico. Comunista e dissidente, fu incarcerato più volte – all'inizio degli anni '30 per aver pubblicato poesie contro il regime di Ataturk, e di nuovo nel 1944. Venne ucciso al confine con la Bulgaria mentre cercava di scappare.
Madonna col cappotto di pelliccia è il suo ultimo romanzo, scritto nel 1943. Ho letto pochissimi scrittori turchi, forse nessuno che abbia scritto così vicino alla metà del '900. Leggendo cercavo di farmi un'idea delle influenze letterarie di Ali: ho trovato La signora delle camelie di Dumas (figlio), Le notti bianche di Dostoevskij, nel rapporto tra Raif e Maria; mi sono chiesta se Ali avesse letto Francis Scott Fitzgerald, che Maria fa così tanto flapper girl, e se si fosse mai approcciato a Franz Kafka. Se fosse vissuto ancora un po' avrei ravvisato in Maria la Holly di Colazione da Tiffany.
Ma dunque, la trama. Abbiamo una cornice in cui un giovane entra in un'azienda, e inizia a lavorare a stretto contatto col bistrattato traduttore della compagnia. Si chiama Raif Effendi, avrà intorno ai quarant'anni e pare l'ombra di quello che dovrebbe essere una persona. Nessuno lo rispetta, né superiori né dattilografe, men che meno i colleghi; perfino in famiglia nessuno gli concede il minimo riconoscimento, né gli si concede tregua dalla fatica. Eppure è il protagonista, e diventa narratore quando il collega, che diventa suo amico, inizia a leggere un taccuino scritto di suo pugno nel quale, appena pochi mesi prima, ha stilato accuratamente la storia dei pochi anni trascorsi a Berlino in gioventù. Figlio di un ricco possidente terriero e saponificatore di Ankara, a 24 anni viene mandato in Germania per studiare, in modo da poter poi succedere al padre nella conduzione degli affari. Ma Raif non è interessato alla chimica dei saponi, e continua a vivere come ha sempre fatto, e come gli è sempre stato rinfacciato di fare; schivo e riservato, passa le sue giornate a leggere, a studiare il tedesco soltanto per potersi approcciare agli autori nella lingua d'origine, passeggia in solitudine e visita innumerevoli mostre d'arte.
Ed è qui che incontra la sua Madonna col cappotto di pelliccia, come la intitolerà un critico su una rivista. L'autoritratto dell'artista, una donna che fissa il mondo di fronte a sé con l'espressione orgogliosa della Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto. Raif si soffermerà molto sul suo sguardo, darà la chiara impressione di essere rimasto così ossessionato dal quadro da averlo studiato nei minimi dettagli. Lo studia per carpirne l'anima, e sembra che ce la faccia.
In seguito a una serie di vicissitudini – hanno forse importanza? - arriva a fare conoscenza della pittrice, che mantiene se stessa e la madre anziana cantando in un locale notturno. Si legano in un rapporto che potrebbe essere amore, e per lui lo è da subito, ma si sviluppa con l'intima vicinanza disinteressata che intercorre tra fratelli o tra amici d'infanzia. Anzi, come gli amici che si sognavano nell'infanzia, ma che si incontrano in età adulta. Con cieca fiducia affidano l'una all'altra la propria persona, a livello puramente mentale, filosofico. Discutono e passeggiano, e per un po' è tutto ciò che fanno.
Non ha senso che vada avanti nel parlare della trama; il romanzo è tutto qui, nel rapporto tra Raif e Maria, nella reciproca interrelazione; nessun punto è più bello e convincente di quelli in cui chiacchierano, e si rimpallano le loro visioni del mondo e dell'amore, che si discostano così tanto. Il romanzo prosegue, va avanti e infine si conclude con due pagine di scarto sul taccuino di Raif; giusto il tempo di dare una chiusura alla cornice, tirare le ultime considerazioni.
Un aspetto che ho trovato particolarmente interessante è il ribaltamento nei ruoli (stereotipicamente parlando) di forza tra Raif e Maria; Raif si approccia al mondo esitante, con timidezza, e lascia esplicitamente a Maria il controllo della loro relazione. La Madonna non è una donna angelo, bensì una donna innamorata della propria libertà, sicura di sé, decisa. Viene da chiedersi se Ali non si sia ispirato alla Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch.
In sostanza è stata un'ottima lettura, un'opera piena di cui si soffre appena una distanza stilistica che si mostra giusto con un'abbondanza enfatica della punteggiatura. Forse avrei gradito se Ali avesse raccontato qualcosa di più della Berlino degli anni '30, sappiamo in retrospettiva che c'era tanto di cui parlare, e non solo dal punto di vista politico, ma pure artistico, letterario etc. Ma capisco anche che per Ali il punto non fosse quello. Gli premeva trattare di tutt'altro.