Dunque, vediamo. Chirù di Michela Murgia, uscito per
Einaudi nel 2015. Di Chirù si è parlato un sacco, ai tempi in cui è
uscito. Dopo il successo di Accabadora – che ancora non ho letto,
ma immagino sia il prossimo romanzo della Murgia che leggerò –
Einaudi aveva puntato molto sul romanzo, e su facebook era comparso
pure il profilo di Chirù, a scimmiottare un ragazzo vero.
(in un certo senso, si può dire che Chirù ricordi
Pinocchio a vari livelli, in vari modi, ma solo a volerci trovare
riletture e significati che l'autrice non aveva previsto né voluto).
La narratrice del romanzo si chiama Eleonora ed è
un'affermata e affascinante attrice teatrale di trentotto anni. Nel
corso della sua carriera ha preso sotto le sue ali pochissimi
allievi, tre ragazzi eccezionalmente dotati per instradarli verso un
avvenire radioso e soddisfacente. Tutti ragazzini dai quindici ai
diciassette anni, e in un caso su tre è finita parecchio male.
Ma dopo una pausa lunga anni, Nora incontra Chirù, un
violinista che brucia di ambizione, un diciottenne quasi imberbe
pieno di fascino che la convince da accettarlo come apprendista, e a
farsi formare intellettualmente e culturalmente. Nora all'inizio
tentenna, ma alla fine cede e basta, nonostante un sacco di timori. E
la storia va avanti e poi torna indietro, segue il rapporto tra
maestra e allieva e poi torna indietro a conoscere la Nora bambina,
la Nora adulta, la Nora che si affaccia alla carriera di attrice e
impara come funziona il mondo.
La trama è quasi un pretesto. Non voglio dire che non
sia interessante o che abbia dei buchi o che altro; il punto è che
il centro del romanzo sono i rapporti tra le persone, più nel
generale che copre tutto il mondo che nel caso specifico di Nora e
Chirù. Nora riflette sulle relazioni umane, e ne discute senza
filtri né fronzoli. Il suo sguardo è così acuto e lascia così
scoperti che ho sentito il bisogno di mandare degli screen alla mia
coinquilina, - la parte sui rituali, soprattutto, mi ha lasciata un
po' commossa.
È un romanzo che ho sentito appena troppo breve, non
perché non basti quello che c'è, ma perché avrei preferito che il
contesto fosse più ricco, che i personaggi parlassero ancora tra
loro, che venissero riempiti quegli interstizi tra le loro
conversazioni con altre parole, altri gesti.
Mi è piaciuto e molto, e questo mi pare ovvio. Non so
se sia il miglior romanzo della Murgia, ma non vi fermerei affatto se
voleste iniziare da questo.
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