Introdurre
Tutto cambia di Elizabeth Jane Howard, ultimo volume
della saga dei Cazalet, edito da Fazi nella traduzione di
Manuela Francescon,
non è compito facile.
Prima
di tutto perché si tratta giust'appunto di una conclusione, e come
specifico ogni volta, non è facile parlarne senza cadere negli
spoiler. Secondariamente... beh, è la serie dei Cazalet. È un
attimo che io smetta i panni – ma li ho mai indossati? - della
bookblogger oggettiva e indefessa per indossare quelli della crazy
fangirl e mi metta a squittire del mio amore per la saga. È un
attimo, davvero.
Intanto
vi indirizzo alle recensioni dei precedenti volumi:
Gli anni della leggerezza, Il tempo dell'attesa, Confusione e
Allontanarsi, tutti belli in ordine di uscita. Non ringraziatemi,
sono fatta così.
Seguiamo
le vicende della famiglia Cazalet dal 1937, quando Polly, Clary e
Louise erano bambine, l'enorme proprietà in campagna di Home Place
era sempre piena di gente, lussuosa e incrollabile. Li abbiamo
seguiti durante la guerra, le incertezze, i razionamenti, le perdite.
Non voglio specificare quali perdite, chi abbiano toccato e come.
Esiste sicuramente al mondo qualcuno che ancora non ha avuto
occasione di prendere in mano Gli anni della leggerezza – primo
volume della serie – e a questi folli non voglio rovinare la
lettura.
Ma
i Cazalet li abbiamo seguiti a lungo, per tutte le fasi della loro
vita. Tutto cambia si conclude indicativamente alla fine degli anni
'50, e dei personaggi abbiamo visto così tanto. Li abbiamo visti
mutare, li abbiamo visti preda di dolorose ossessioni e tremende
perdite. Li abbiamo visti crescere, evolvere, cambiare. C'è
chi si è perso, chi è arrivato a metà, chi non c'è mai stato.
Una
cosa che ho sempre amato della serie e che è stata pienamente
rispettata anche in quest'ultimo volume è l'aggancio che ha con la
realtà e i suoi modi di muoversi. Sputando, giustamente, su quelle
regole della narrativa che impongono la presenza sulla carta soltanto
a ciò che risulta utile ai fini della trama, la Howard racconta di
situazioni che nascono e muoiono, di grandi scelte che sfumano, di
screzi che si protraggono per anni per poi venire risanati col caso o
col tempo.
La
Howard, soprattutto, riempie le pagine di un triste “Le cose non
vanno quasi mai come dovrebbero andare.”
E
a ragione. Ci sono personaggi cui la vita ha messo in mano soltanto
obblighi e rinunce, altri che saltellano sulla via della felicità
come se il loro corpo non avesse peso. E se dal punto di vista del
karma questo pare ingiusto, sappiamo che il mondo funziona così. Per
caso e per inerzia.
Ed
è anche l'inerzia a trovare posto tra le pagine della Howard. È
questo che amo così tanto di lei, accanto ai personaggi vivi e veri
e pieni di difetti e magagne, che devono impegnarsi attivamente
essere belle persone, come tutti noi comuni mortali in carne e ossa.
L'inerzia che porta avanti tutto finché una decisione non viene
presa con immane fatica. L'inerzia, che è una forza molto più
potente di quanto non possa sembrare, e per spezzarla ci vuole uno
strattone violento.
Che
altro c'è da amare? Beh, un altro richiamo al realismo con cui la
Howard dipinge la vita dei suoi personaggi.
Le
colpe. Le colpe che paiono ferite imperdonabili capaci di cambiare
tutto, che magari in altri autori provocherebbero terremoti
narrativi, sarebbero un punto di stacco violentissimo tra un “prima”
e un “dopo”, mentre nei Cazalet è una questione di cicatrici e
risanamenti. Il più delle volte, almeno. Diciamo che ogni questione
è gestita non secondo giustizia, ma tenendo conto degli interessi
emotivi e pratici che sottostanno alla situazione. Non è cosa da
poco, diamine.
Dovessi
fare una rimostranza, ecco, ne ho un paio, e me le sono accuratamente
appuntate. Mi è dispiaciuto che in questo volume mancasse il punto
di vista degli adolescenti. C'è Roland, certo, il figlio di Villy ed
Edward, ma è poco presente e manca la sua personale visione del
mondo che cambia. È stato interessante poter assistere al
cambiamento dell'approccio con cui i ragazzi interagivano col mondo
al di fuori della famiglia, nel corso dei volumi precedenti. È un
aspetto di cui ho sentito un po' la mancanza in Tutto cambia, ecco.
Uno
screzio con cui devo fare i conti come persona, invece, è la
presenza di una mostruosità che non viene mai sanata, di una resa
dei conti che non c'è mai. L'unico atto che trovo davvero
imperdonabile che non viene mai affrontato, rimane nascosto e
orribile e privo di conseguenze.
Ma
il mio è un fastidio umano e non narrativo.
E
il modo in cui Elizabeth Jane Howard ha affrontato la questione è
molto più realistico e statisticamente plausibile di quanto non
possa essere la risoluzione strappalacrime che avrei voluto leggere.
Devo
chiudere con questo post che sa un po' di raffazzonato – ma che
posso farci, se non mi è dato di parlare di quello che accade ai
personaggi? - così come ho chiuso, da lettrice, la serie stessa.
Ho
adorato visceralmente questa serie. I personaggi pienamente umani, le
vicende che si susseguono con naturalezza, i legami che si stringono
e si sciolgono. Il fatto che pure le disgrazie più dolorose non
vadano a esaurire le vite dei personaggi, perché l'essere umano è
più resistente di quanto le sue lacrime non facciano pensare.
L'istinto di sopravvivenza, l'istinto alla felicità.
Ha
senso consigliarla? Non lo so. A me pare implicito.
E
mi mancherà moltissimo.