Ebbene,
è capitato l'impensabile; mi ritrovo con un'oretta da spendere come
meglio credo, e credo che la userò per scribacchiare
questo post che ho in mente da un sacco di tempo. Anche se a pensarci
bene si è ringalluzzito solo ieri, per via di un personaggio
incontrato sulla mia strada alla fine di Il guardiano degli innocenti
di Sapkowski. Da un errore grave quanto impostare la sveglia un'ora
prima nonostante l'estremo bisogno di sonno può anche venire
qualcosa di buono, dai.
È
un argomento di cui mi sarebbe piaciuto chiacchierare l'8 Marzo, la
Giornata Internazionale della Donna. Avevo anche iniziato a
scriverlo, poi gli impegni hanno avuto la meglio. E forse finirà
allo stesso modo, se non mi sbrigo ad arrivare al punto. Diamine, me,
è pure una cosa breve.
Sono
tanti gli stereotipi che trovo noiosi e ripetitivi; ce ne sono pure
di quelli che invece continuo a gradire, ammesso che l'autore e il
lettore siano ben consapevoli della natura stereotipica della
situazione/personaggio. La mia non è una lamentela verso i cliché
in toto, ecco. È che c'è questo particolare stereotipo che
ultimamente mi urta non poco, e che probabilmente un tempo avrei
gradito eccome.
È
ben probabile che a irritarmi sia la provenienza dello stereotipo,
del cui uso vi è un abuso proprio da parte di chi, per convinzione,
stereotipi e semplificazioni dovrebbe teoricamente evitarli.
Arrivo
al punto? Arrivo al punto.
I
personaggi femminili che autori principalmente di sesso maschile
vorrebbero descrivere come forti e indipendenti ma che a giudicare
dal loro comportamento sono soltanto delle persone abbastanza
orrende, o quantomeno insensibili, inutilmente violente e
presuntuose. E ho l'impressione che per taluni l'unico modo di dare
l'idea di un personaggio femminile forte, sia renderlo
contemporaneamente insopportabile. Non so come spiegarlo senza che
suoni ridicolo, ma posso cercare di chiarire.
Leggevo
il terzo libro della Saga dei Bastardi Galantuomini di Scott Lynch.
In inglese, perché la Nord è fatta della stessa sostanza di cui è
fatto il mio fastidio e anni fa ha interrotto una delle migliori
serie fantasy mai comparse su questo piano di esistenza, ma comunque.
Leggevo The Republic of Thieves, amorevolmente regalatomi dalla mia
coinquilina, e ho finalmente incontrato Sabetha, il grande amore di
Locke, spesso nominato dallo stesso nei due precedenti volumi, ma mai
realmente comparso. Nel suddetto romanzo è tra i personaggi
principali, e si viene a conoscerla sia nella linea narrativa
presente che nel racconto del passato.
E,
ecco, il fatto è che Sabetha non è una bella persona. Ma proprio
per niente. Non è una questione di gusti, è che si comporta
veramente come se fosse stata sottoposta per quindici anni alla
tortura dei coppini e ne ritenesse responsabile il mondo intero. Lo
stesso vale per altri personaggi che ho incontrato nel tempo;
Yennefer da Il guardiano degli innocenti di Andrei Sapkowski – l'ho incontrata giusto
ieri; Alaska di Cercando Alaska di John Green; Clary di
Shadowhunters, col suo “Mi hai salvato la vita ma per farlo mi sei
venuto troppo vicino quindi ti prendo a ceffoni”; perfino Anna di
Ammaniti; giuro che ce ne sono altri – un sacco – ma tra meno di
un'ora devo trovarmi in biblioteca e sono ancora in pigiama.
Il
punto è questo: scrittori con l'evidente intento di creare con la
loro penna un buon esempio di donna forte come personaggio positivo,
che finiscono tuttavia per adagiarsi su uno stereotipo ormai datato,
vuoto e per nulla positivo. Come se un comportamento scostante e il
lancio casuale di insulti potessero costituire un'intera personalità.
Che poi non è neanche una cosa troppo fine a se stessa, di norma il
carattere di suddetti personaggi viene spiegato con traumi e vite
difficili. Ma non basta, diamine.
Un'altra
cosa che ho notato darmi un po' fastidio, e che trovo sia una netta
incomprensione dell'universo femminile – se così vogliamo/dobbiamo
chiamarlo – da parte di scrittori che si definirebbero in teoria
femministi, è la questione del Mistero.
Mi
spiego meglio. O almeno ci provo.
C'è
Sabetha, in The Republic of Thieves. Sabetha adolescente, che si
muove fiera e sicura, che sa cosa fare e come, perfettamente
consapevole di come viene percepita. Sabetha, in piena
pubertà, lancia occhiate divertite a un'amica che condivide il suo
segreto, e ride con lei di questa cosa misteriosissima di cui a
quanto pare le donne verrebbero messe a parte quando si inizia a
uscire dall'infanzia, di cui tutti i maschi del pianeta verrebbero
abilmente tenuti all'oscuro.
E,
ecco... no. Io me lo ricordo com'erano le mie compagne alle medie e
alle superiori. L'esplosione dei brufoli, i capelli grassi,
l'acquisto di peso, la dannazione delle tette piccole, i primi
tentativi di trucco che SANTODDIO, c'era gente che girava
impiastricciata; ripenso a com'ero io a quindici anni – ma anche a
come sono adesso – e non so se stupirmi o irritarmi di fronte a
questa strana pretesa delle donne che Sanno. Non si sa bene cosa.
Sanno e basta. Capiscono. I super-poteri, 'sto fottutissimo sesto
senso femminile che non si è mai capito cosa voglia dire, vai a
sapere. I personaggi femminili che, in sostanza, finiscono per
diventare meno persone e più esseri eterei, superiori, quasi
sovrannaturali.
C'è
questo concetto strano di “sessismo/maschilismo positivo”, che
non è positivo per niente. Non confondiamolo con la gentilezza,
mettiamola da parte. Si tratta, in breve, di fare o pensare qualcosa
di positivo per i motivi sbagliati. La differenza tra “Quelle borse
sono pesanti e io ho le mani libere, perché non dovrei aiutarti?”
e “Le donne non dovrebbero portare pesi, dai a me che sono un vero
uomo”. Si capisce abbastanza?
Quello
che mi spiace è che a queste banalizzazioni ricorrano perlopiù
scrittori sinceramente benintenzionati, che credono davvero nella
parità tra i sessi e non vedono l'ora di vivere in un contesto in
cui questa sia effettiva. Eppure hanno difficoltà a creare un
personaggio donna che sia a tutti gli effetti una persona e non un
ammasso di tratti più o meno convincenti e/o irritanti.
Sarò
stata chiara, in questo mio blaterare? Non lo so. Non so neanche se
avrò il tempo di rileggere quanto già scritto; la biblioteca ha
bisogno di me – e magari sarebbe bello arrivare in orario una volta
ogni tanto.