Ben due libri di Lorenzo Mazzoni - Il muggito di Sarajevo e Un tango per Victor

Inutile cercare di negarlo, è da così tanto tempo che non scrivo qualcosa – qualsiasi cosa – che mi ero perfino dimenticata dove si trovasse l'icona di Open Office sul desktop. Rendiamoci conto, mondo. Rendiamoci conto.

Dunque, Lorenzo Mazzoni. Due libri di Mazzoni, per essere precisi. Perché ne chiacchiero in un unico post? Beh, un po' è per mere questioni di tempo, e poi è perché li ho letti in rapida sequenza l'uno dall'altro. Quello più breve, Un tango per Victor, l'avevo iniziato mesi e mesi fa per poi abbandonarlo a poche pagine dalla fine, ancora mi chiedo perché. Ma leggere – divorare – Il muggito di Sarajevo mi ha fatto tornare voglia di leggerlo, per sapere come fosse poi andata a finire a Denil, il protagonista. E poi è interessante poter fare comparazioni e analogie; sono due letture estremamente diverse tra loro, diamine.
Premetto questa cosa: se dovessi fare una lista dei miei scrittori italiani preferiti, il nome di Mazzoni verrebbe fuori prestissimo. Non prima di Calvino, ma comunque tra i primi. E già che ci sono rimando all'entusiastica recensione che avevo scritto di Quando le chitarre facevano l'amore, letto e adorato un paio di anni fa.
Dunque, vediamo. Da dove comincio? Partiamo da Il muggito di Sarajevo, edito da Spartaco Edizioni – e da tanti editori mandatomi a sorpresa, grazie mille, siete belli e bravi e profumate di prati fioriti e santità – neanche un annetto fa. È un romanzo corale, così come lo era Quando le chitarre facevano l'amore, con un buon tot di personaggi che convergono verso uno stesso punto, la Sarajevo assediata del '9, più inferno che città. Sarajevo è fatta di guerra civile, di tenacia e musica. E ci sono Amira, una ragazza turca cresciuta a rock e punk grazie all'influenza di un cugino scapestrato, fuggita di casa per andare a trovare la sua musica tra le bombe e la distruzione. E poi c'è la fonte del muggito, una mucca speciale, leggendaria, in grado di predire il futuro. E ci sono personaggi che girano attorno all'una e all'altra, che questo romanzo ha in Amira e nella mucca i due punti focali, tutti gli altri li cercano e ci girano intorno come ipnotizzati.
Il cugino di Amira, quello che l'ha traviata con la sua musica occidentale, che si è convertito all'Islam radicale quando si trovava in carcere e si è unito alle unità combattenti musulmane; o il ragazzo di Amira, Jack l'irlandese, zoppo e idealista, coi suoi modi spicci; i due reporter italiani che vogliono parlare di Sarajevo, della sua mucca magica, di quella ragazza che canta con due tizi improbabili e porta in una città devastata una corrente di vita; un mercenario prezzolato fan di Barbara Streisand a cui piace fare esplodere la testa delle persone a distanza; la mucca, il suo anziano proprietario, il suo prigioniero allucinato.
Come Quando le chitarre facevano l'amore, anche Il muggito di Sarajevo è una lettura dinamica, svelta, psichedelica ma sempre chiara, in cui i personaggi possono anche andare in trip ma senza trascinarti con loro a chiederti cosa stia succedendo da una pagina all'altra, che a volte capita che uno scrittore voglia confonderti e ti abbandoni in mezzo a una sfilza di scene senza senso né direzione, e puoi solo continuare a leggere finché il tedio non sovrasta tutto il resto. Mazzoni no, ti fa visitare la follia dei suoi personaggi ma dal di fuori, così riesci a comprenderla, contestualizzarla e a ghignarci pure, ma senza rimanerci intrappolato.
È un libro cupo, però. Sempre molto Guy Ritchie, con le varie story-line che si intersecano e si intrecciano e si influenzano in un modo che i personaggi non capiranno mai, i paradossi e le esagerazioni, ma più cupo e stridente. Stiamo parlando di un conflitto di tale portata – e così vicino – che mi risulta difficile anche solo trovare un aggettivo per descriverlo. E poi?

E poi passo velocemente a Un tango per Victor, edito da Edicola Edizioni sempre nel 2016, che ci sono aspetti di entrambi i libri di cui viene bene parlare mettendoli in relazione l'uno con l'altro. Intanto sono diversissimi come struttura; Un tango per Victor è così breve da essere quasi un racconto lungo, ha una trama semplicissima, un unico filo che si dipana nell'arco di pochi giorni, seguendo le vicissitudini di Denil, un giovane italo-cileno che si è ritrovato a lavorare in un coffee-shop di Amsterdam. Un coffee-shop particolare, in cui vendono solo erba biologica e succhi di frutta, il cui proprietario è un hippie vecchia guardia che passa la maggior parte del suo tempo a insegnare yoga. Mi ha fatto ripensare con immensa tristezza a quando io e sorella abbiamo preso il treno per l'Olanda e ci siamo accorte solo in luogo che ella si era dimenticata la carta d'identità a casa. Una di quelle cose che non smetterò mai di rinfacciarle. (tvb, sorella)
Dunque, Denil. Denil è un ragazzo semplice che non sa cosa chiedere alla vita. Non che non voglia nulla, è che vuole solo stare bene. E lo capisco, perché da qualche tempo ho smesso di vedere il futuro come una linea chiara fatta di volontà e progressione; è diventato piuttosto una nebbia colorata e cangiante, un qualcosa di indefinito in cui l'unica aspirazione è una vaga ma soddisfacente forma di felicità. A Denil piace trascorrere le sue giornate tra il coffee-shop, gli amici – improbabili, come sempre nei libri di Mazzoni – e la musica. Che la musica è la sua prima passione, il suo primo amore. Ripensa ai tempi delle compilation, sciorina gruppi sconosciuti e sceglie con attenzione la colonna sonora da mettere in negozio, a seconda della clientela. È un tipo tranquillo e imbranato a cui va tutto abbastanza bene.
Poi incontra Julia, una ballerina di tango che si esibisce per strada. E arriva a conoscerla una sera, a una festa cilena. Chiacchierano, si raccontano, si guardano. Sotto gli occhi dello zio di Denil, che suona per loro le melodie di Victor Jara, un cantautore cileno la cui storia viene raccontata dallo stesso zio, un simbolo della protesta cilena.
È difficile raccontare di questo libro senza andare troppo in là. È semplice, breve, si dipana con calma naturalezza, senza eclatanti colpi di scena. È la storia di come Denil incontra Julia, e di quello che Julia gli combina dentro. È anche una lettura assolata, malinconica, in cui è facile riconoscersi – le pene d'amore sono sempre banali. I personaggi secondari, ancorché eccentrici e particolari, non prendono molto spazio, rimangono sullo sfondo. Quello che conta è Denil, che si svela senza imbarazzi. È diverso dagli altri libri di Mazzoni, e lo dico anche se finora non ho letto poi moltissimo. È più dolce, non affonda nell'assurdo e nella crudeltà. Racconta della dittatura cilena, a tratti, ma il Cile è lontano.

E che dire ancora? Ultimamente scrivo qui di rado, ma mi escono sempre dei pipponi infiniti. Io Mazzoni ormai lo adoro. Punto. E spero che crei delle playlist su Spotify, che i suoi libri sono sempre pieni di musica, e io 'sta musica vorrei sentirla e capirla. Mi pare quasi di leggerli a metà, visto che riconosco appena un paio di canzoni per scena, quando i suoi personaggi si mettono a sciorinare canzoni.