Louisa May Alcott - Rinunce, sacrificio e torture psicologiche per l'infanzia

Ordunque, avrete certamente notato di come i miei post si stiano diradando col tempo. La ragione è sempre la stessa, la mancanza di ore da dedicare specificamente al blog. Non ho ben chiaro che possa farci, il tempo che passo a casa a non fare nulla è risicatissimo, rimbalzo perlopiù tra impegni in biblioteca e impegni con gli amici – e non mi va di rifarmi su quelli, dai.
Questo è un post che mi gironzola in testa da diverse settimane, più specificamente da quando ho letto il terzo libro della tetralogia di Piccole donne di Louisa May Alcott, ovvero Piccoli uomini. Il quarto e ultimo libro, I ragazzi di Jo, non mi sono sentita di leggerlo. Ammetto anzi che finire il terzo è stato un po' un calvario, non aveva granché della leggerezza e della freschezza dei volumi precedenti. Ma non è a questo che voglio dedicare il post.
Dunque, io Piccole donne l'ho adorato, inaspettatamente. E ne ho chiacchierato qui, anche se non in maniera approfondita. Pure il secondo libro, quello in cui le “piccole donne” iniziano a trovare il loro posto nel mondo e a sposarsi, mi è piaciuto moltissimo, anche se meno del primo. Ma non è neanche di gradimento che voglio parlare. Come da titolo, a interessarmi è l'educazione secondo Louisa May Alcott.
Gli intenti educativi dell'autrice sono ovvi e palesi fin dall'inizio del primo libro. Le quattro bambine siedono attorno al fuoco nell'attesa che la madre torni a casa dal lavoro; discutono di cosa faranno a Natale, e di cosa potrebbero fare per rendere felice la loro madre, pur partendo da un incipit che non ha molto di altruista, la celebre uscita di Jo, “Natale non è Natale senza regali”.
Eppure poi si sforzano di essere più buone, sempre più buone. Attraverso i loro progressi, spesso raggiunti con fatica e impegno, e usando spesso il personaggio della signora March per dare consigli e lunghe prediche, Louisa May Alcott fa del suo meglio per instillare nelle piccole lettrici quei valori che secondo lei dovrebbero essere alla base di una buona educazione. Il che, trattandosi di un romanzo per l'infanzia scritto nel 1868, è pure normalissimo, e non infastidisce la lettura proprio perché l'intento è innegabile e palese fino al ridicolo.
Ma, passando soprattutto per Piccole donne crescono e poi per Piccoli uomini, mi sono chiesta che tipo di valori fossero quelli che Louisa May Alcott intendeva insegnare ai bambini e alle bambine.
Ognuno dei suoi personaggi compie una crescita faticosa. Cioè, forse non proprio tutti; Beth era perfetta fin dall'inizio – e infatti. Ma Jo era un maschiaccio, era violenta e impulsiva, capace di una rabbia cieca e vendicativa. Amy e Meg erano più superficiali e vanesie, seppure sempre fino a un certo punto, e sono difetti che hanno superato egregiamente nel corso della storia. Anche Laurie, piegato dal dolore del rifiuto, cresce come persona.
Ma la crescita di questi personaggi ha sempre a che fare con la rinuncia ai loro sogni, con l'accettazione dei propri limiti.
Ora, se non avete ancora letto Piccole donne e seguiti magari evitate di leggere innanzi, perché ora mi metto a spoilerare di brutto quello che capita a fanciulle e fanciullo, vi avverto. E non prendete la cosa sotto gamba, si tratta davvero di una bella lettura fino al terzo libro, non rovinatevela.
Jo è stata mossa fin dall'infanzia dalla ferma intenzione di diventare una scrittrice. Si è sforzata per migliorarsi, si è messa alla prova, si è sacrificata. E ha iniziato a crescere professionalmente, a guadagnare pubblicando racconti, a farsi conoscere. Stava ottenendo ciò che voleva, quando a un certo punto si è fermata, soltanto perché il professor Fritz Bhaer aveva dato un giudizio lapidario sulle sue storie. Ha abbandonato ciò che era, si è dedicata completamente a qualcosa che un tempo non aveva nemmeno previsto; una sua famiglia, un collegio in cui crescere e aiutare figli altrui. Cosa sia rimasto della vecchia Jo, quella bestiaccia ribelle e caparbia, è difficile dirlo. In Piccoli uomini davvero non l'ho trovata.
Prendiamo Meg, la cui unica – forse discutibile, va bene – aspirazione era condurre una vita agiata e rispettabile, e che finisce per sposare John Brooke, un uomo buono e squattrinato.
Oppure Amy, che decide di abbandonare ogni ambizione artistica, nonostante abbia sempre desiderato fin dall'infanzia guadagnarsi da vivere con la pittura, soltanto perché si è resa conto che forse non avrebbe mai raggiunto l'eccellenza.
O Laurie, che ha deciso di rassegnarsi alla volontà del nonno di sostituirlo alla guida dei suoi affari rinunciando al suo sogno di diventare pianista e compositore, sogni cui si era dedicato tutta la vita, tralasciando una breve pausa in seguito alla sua cocente delusione d'amore.
Louisa May Alcott insegna la rinuncia, la sconfitta. Insegna anche l'accettazione, e questo certamente è bene, ma ammetto che la sua prospettiva, a fronte di una società odierna che cerca di spingerci sempre più in là, oltre i nostri limiti individuali e anche oltre il buon senso, un po' mi ha lasciata perplessa.
Per non parlare dei metodi usati in Piccoli uomini, nel punto in cui il povero Nat si trova a dover sferzare le nocche del professor Fritz; quella si chiama tortura psicologica, e mi ha fatto orrore almeno quanto mi ha fatto sorridere il fatto che la Alcott la considerasse decisamente meno grave di una punizione fisica a tutti gli effetti.
Non era molto sensibile, la cara Louisa.
Ma Louisa non vuole compiacerci. Se avesse voluto compiacerci, Meg e John Brooke sarebbero diventati ricchi, Beth sarebbe viva e vegeta, Jo si sarebbe sposata con Laurie e sarebbero stati felici, in mezzo a qualche litigio.
Louisa voleva insegnarci che la vita è dura e va accettata così com'è, che a volte le cose non si possono cambiare, che per ogni problema esiste una soluzione, ma va cercata e nel frattempo è normale soffrire. Louisa è una stoica, ed è quella paziente durezza che vuole instillare nelle giovani menti delle sue lettrici.

Onestamente non ho ancora deciso come pormi di fronte alla sua visione dell'educazione. È vero che impegno, pazienza e dolcezza sono valori decaduti, che negli odierni romanzi per ragazzi si cerca di promuovere l'intraprendenza e il coraggio rispetto a una comunque necessaria diligenza. Avrei certo preferito se avesse voluto arricchire i suoi romanzi con una dose maggiore di speranza, ecco. Che Jo mi piaceva, con gli occhi luminosi, i capelli scarmigliati e la penna in mano.