Gli huligani di Mircea Eliade

La mia conoscenza della letteratura dell'Est Europa è a dir poco scarsa; se cerco di raggranellare i ricordi dei libri letti, mi viene in mente solo Sàndor Màrai, e comunque è davvero superficiale da parte mia mettere un singolo autore ungherese a rappresentare una manciata di paesi.
Quando la Calabuig mi ha proposto in lettura Gli huligani di Mircea Eliade, ho accettato perché la trama mi ispirava, e poi perché mi fido della casa editrice. Dell'autore non avevo mai sentito parlare, lo ammetto. In compenso mi pare di capire che sia un esponente importantissimo della letteratura romena, visto che quanto stavo leggendo è stato riconosciuto immediatamente sia da un amico romeno che da una collega del servizio civile fissata con la letteratura dell'Est Europa. A lettura terminata – ma avrei potuto dire lo stesso a metà lettura, ecco – posso ben dire che capisco perché.
Da dove inizio a parlare di Gli huligani? Forse dalla struttura, dai punti di vista, dal fatto che narri in terza persona le vicende di una manciata di personaggi affidando prima all'uno e poi all'altro il ruolo di protagonista; sono personaggi le cui esistenze si sfiorano appena, con collegamenti talvolta labilissimi e talvolta stretti – due di loro vantano un'amicizia strettissima, il pianista Petru Anicet e l'ex-ufficiale Alexandru Plesa. È una trama priva di risoluzione, di un punto verso il quale i personaggi debbano convergere per risolversi e per risolvere una situazione. Sono le vite di questi personaggi, tutti giovani appartenenti alla borghesia romena, che scorrono indipendentemente le une dalle altre, e che tuttavia Eliade ha deciso di mettere insieme in un unico romanzo, per raccontare un ambiente, una generazione.
Vediamo, i personaggi. Sono ottimi personaggi, e spesso pure pessimi esseri umani. Petru Anicet che dà lezioni di piano ad Anisoara, una ragazza giovanissima ed evidentemente innamorata di lui e nel frattempo si fa mantenere da una prostituta che tratta con disprezzo e aperta crudeltà; Alexandru Plesa che non prova il minimo rimorso per avere ingannato una ragazza conosciuta pochi mesi prima, che si è suicidata alla fine della loro relazione; Mitica Gheorghiu reso folle dalla passione per Marcella, un'attrice che di lui non è che voglia sapere più di tanto; Irina, la cugina di Alexandru, col suo fidanzato il cui unico scopo parrebbe arricchirsi, soggiogato dal sogno del padre di costruire un aereo militare. E poi tutti i letterati e gli intellettuali che orbitano principalmente attorno ad Alexandru, dai quali scaturiscono interminabili discussioni sull'etica, sulla morale, sul senso dell'essere romeni, sulla loro generazione, su quello che dovrebbero e potrebbero fare. Visioni molto futuriste, a mio dire. Interessantissime, soprattutto, se si pensa che rimangono soltanto discussioni. Dall'inizio alla fine, come se l'autore non facesse altro che puntare il dito verso l'intera middle-class romena degli anni '30 – perché credo sia quello il periodo in cui il libro è ambientato, visto che la prima pubblicazione risale al 1935 – i discorsi rimangono tali, le ideologie vengono distorte e contorte per adattarsi a colui che le sta propugnando, ai suoi atti e alla sua particolare situazione.
Non voglio dire con questo che si tratti di un libro filosofico, in cui le azioni sono assenti e prive di significato, anzi, accadono un sacco di cose, i personaggi viaggiano, si incontrano, fanno un sacco di errori. Volendo togliere la lente del sarcasmo che Mircea Eliade ha voluto porre sulla suddetta giovane borghesia romena, resterebbe senza dubbio un'ottima e piacevole lettura. Ma c'è qualcosa di più, e quel qualcosa di più è l'autore che ti si siede accanto mentre vai avanti con le pagine, e sbirciando il punto in cui sei arrivata sorride e sottolinea l'ipocrisia di fondo, l'ironia che soggiace a parole coraggiose seguite dall'inazione.
Gli huligani” è un titolo ironico, che fa riferimento a una spiegazione data da uno dei personaggi di contorno, uno scrittore amico di Alexandru che parla della giovinezza, del suo coraggio e della sua irruenza. Il che, messo in relazione a persone pronte a inneggiare alla violenza, per poi votarsi al rifiuto della violenza perché “sottintenderebbe un impegno inculcato da terzi”, dà un certo effetto comico. E squallido.
Con tutto ciò, io questo libro l'ho adorato e lo consiglio estremamente. Spero che la Calabuig porti in Italia altri titoli di Eliade – e magari vedrò di recuperare un po' di letteratura romena, andando a rompere le scatole alla collega del servizio civile per ottenere adeguati consigli. Che comunque accetto più che volentieri anche da voi, né.