Piccoli scorci di libri #59

Nelle ultime settimane ho letto un sacco, a livelli che non toccavo da quasi un anno. La ragione è da trovarsi nella tendinite con cui sono riuscita a piagare le mie ginocchia. Nulla di grave né di troppo doloroso, infatti continuo a camminarci sopra impedendomi la completa guarigione. Più che altro mi sono proibite le care vecchie passeggiatone di 3-4 ore, e quelle 3-4 ore le trascorro a leggere o a guardare serie tv – serie tv meravigliose che mi fanno dare ragione a quegli articoli letti mesi fa secondo cui le serie tv sono la nuova letteratura etc. Dicevo.
Ho letto tanto e ho recensito poco. Cerchiamo di rimediare.

Radio Libera Albemuth di Philip K. Dick – traduzione di Maurizio Nati – Fanucci, 2007

Questo è stato il primo libro di Dick che io abbia mai letto. L'ho scelto per la trama e per il fatto che non era granché famoso, anzi. Ci sono autori che preferisco scoprire così, partendo dalle opere meno famose, da quelle più tarde. Mi piace partire dalla fine e poi tornare all'inizio, per apprezzare il contrasto e la crescita. In realtà non so quanto abbia fatto bene a iniziare proprio da Radio Libera Albemuth. Se da un lato l'ho trovato certamente originale e interessante come trama, per non parlare della costruzione e del punto di vista, dall'altro mi è sembrato un po' troppo didascalico e moraleggiante.
Vediamo, la trama in soldoni. Il romanzo è narrato in prima persona prima da Philip K. Dick stesso, personaggio dell'opera stessa, poi dal suo migliore amico nonché protagonista Nicholas Brady. Si conoscono nella città universitaria di Berkeley nel pieno della guerra del Vietnam, Dick è un docente (nonché ovviamente scrittore) e Nicholas lavora come commesso in un negozio di dischi. Tutto scorre più o meno normalmente, quando ad un certo punto Nicholas viene contattato da un'entità di natura sovrannaturale – o almeno così pare all'inizio – e dal primo contatto, ampiamente discusso con l'amico Phil, diventerà una conoscenza duratura e complessa, che influirà in vari modi sulla vita di Nick. A questo si aggiungono l'ascesa di un dittatore e faccende di fantapolitica americana. E fin qui tutto bene, ho gradito molto.
Il mio problema con questo libro – che ammetto, alla fine iniziava un po' ad annoiarmi – credo dipenda dalla bizzarra esperienza mistica di Dick e dal suo conseguente dibattersi tra fede e ragione, tra Dio e Scienza. Lungi da me dare un qualsiasi giudizio, non specifico neanche da che lato della bilancia penda il mio ago, che non lo trovo proprio pertinente. Il fatto è che gli arrovellamenti di Dick finiscono in bocca ai suoi personaggi per lunghe, lunghissime pagine. E questo mi è risultato un tantinello pesante.
Questo non toglie la ganzaggine del romanzo nel suo complesso, ma sarebbe assurdo non farvi cenno. Non so quale sarà il mio prossimo libro di Dick. Forse uno dei suoi capolavori, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? o La svastica sul Sole. Chissà.

La ragazza che voleva essere Jane Austen di Polly Shulman – traduzione di Bérénice Capatti – Fabbri Editori, 2007

E sì, dopo Dick passiamo a una commedia romantica per adolescenti di ispirazione Austeniana. Perché no? Soprattutto considerando che tra Radio Libera Albemuth ci sono stati Il condominio di J. C. Ballard e The Junkie Quatrain di Peter Clines, due distopici belli tosti, il secondo dei quali pieno di zombie. Avevo decisamente bisogno di allegre frivolezze.
La ragazza che voleva essere Jane Austen – titolo originale Enthusiasm – è una lettura breve, simpatica, ben costruita e leggerissima. Mi ha dato l'impressione di essere uno dei volumi particolarmente riusciti della collana Le Ragazzine – sono settimane che mi riprometto di scrivere a riguardo – ma con una protagonista fan di Jane Austen. O almeno, di Orgoglio e Pregiudizio, visto che si parla solo del capolavoro di zia Jane, ma tanto basta.
La trama è di una semplicità disarmante. C'è la protagonista e narratrice Julie che frequenta il secondo anno di liceo insieme alla migliore amica e vicina di casa, Ashleigh.
Ora, Ashleigh. Devo fermarmi subito perché Ashleigh. Ashleigh è un'entusiasta. È un'allegra minchiona. È una che si piglia un sacco per le cose, che passa da una passione inarrestabile all'altra, che se ne frega di quanto appaia ridicola e cerca sempre di coinvolgere chi le sta accanto nelle sue cavolate. Io ho voluto un sacco bene ad Ashleigh, io la voglio come amica e compagna di avventure. Essendo io stessa un'allegra minchiona, mi capita di rado di trovare personaggi con cui posso immedesimarmi in maniera così stupida e totale. Forse non è un bene che mi sia capitato con l'amica-spalla-comica-sedicenne, ma almeno è capitato. Non è male quando capita.
Dicevo, Julie è fan di Jane Austen, e Ashleigh è un'entusiasta. Capita che Ashleigh scopra Orgoglio e Pregiudizio e vada in totale visibilio, inizi a vestirsi in stile Regency – cioè, più o meno – e inizi a parlare in modo forbito e antiquato, che voglia assolutamente partecipare a un ballo e simili. E la trama semplicemente si mette in moto, con giusta naturalezza. Cotte, vita da adolescenti, famiglia, equivoci. Tanti equivoci. Se volete leggerlo, evitate il retro della copertina perché praticamente spiattella il finale.

Ovvio che non si tratti di un capolavoro, ma di certo non vuole esserlo. E ho apprezzato i vari riferimenti alla produzione Austeniana – alcuni nomi che appaiono e il fatto che Julie e Ashleigh siano un po' le sorelle Dashwood. Forse l'autrice avrebbe potuto osare un po' di più in questo senso, ma non mi lamento. Ho avuto ciò che mi aspettavo, quindi benissimo così.