John
Scalzi è un autore
di fantascienza parecchio famoso in America, almeno a giudicare dalle
foto delle sue presentazioni. Io ho iniziato a seguirlo su Twitter un
paio d'anni fa, probabilmente in seguito a una sua presa di posizione
piuttosto decisa – e condivisibile – sulle minacce ricevute da
una studiosa femminista che avrebbe dovuto presenziare a non so quale
ComiCon. O forse ho iniziato a seguirlo per pura simpatia dopo aver
letto le adorabili conversazioni tra lui e Neil Gaiman, un reciproco
“Sei mejo te”, “Ma no, sei te il più grande”, “Ma te sei
più ganzo” e via dicendo. Ad ogni modo, qualche settimana fa stavo
a Napoli e passeggiavo avida per le bancarelle di Piazza Dante,
quando mi sono imbattuta in Le
brigate fantasma
dell'esimio già citato Scalzi,
edito da Gargoyle
nel 2012 nella traduzione di Benedetta
Tavani. Sequel di
Vivere per morire,
come ho scoperto nella postfazione, ma per quanto mi riguarda
totalmente comprensibile e indipendente.
Ora,
il mio rapporto con la fantascienza non è iniziato nel migliore dei
modi. È iniziato con Jack Vance, su Tschai, praticamente con una
rottura. La fantascienza classica, quella in cui l'ambientazione ha
la meglio sui personaggi quanto a focus – parlo per
generalizzazione cocente, per stereotipo, perdonatemi appassionati ma
sono ancora piuttosto ignorante in materia – non fa per me. C'è
voluta la Zona 42 per riportarmi sulla via della fantascienza, ma
ancora mi mancano le basi.
Dicevo.
Le brigate fantasma l'ho adorato anche per il suo perfetto equilibrio
tra ambientazione futuristica e scientificamente avanzata, spiegata
in maniera approfondita, e l'attenzione data ai singoli personaggi e
alla loro caratterizzazione. Non solo per i personaggi principali, ma
pure per quegli ufficiali umani “veri nati” che compaiono una o
due volte e quei compagni di brigata cui è riservata poco più di
una scena. Non metterei tanto l'accento sulla cosa, se non fosse che
colma esattamente il problema che incontro con la fantascienza.
Ora,
la trama. La trama starebbe tranquillamente in piedi e risulterebbe
comunque interessante pure se togliessimo l'ambientazione. Certo,
bisognerebbe cambiare un paio di elementi, ma credo che sarebbe in
qualche modo aggiustabile. In un imprecisato futuro gli umani hanno
creato quella che si chiama Unione Coloniale e infestano lo spazio
con colonie più o meno ufficiali, dunque più o meno protette. Ci
sono altre specie in giro, i Rraey, gli Odin, i misteriosi Consu. Si
viene a scoprire che Rraey e Odin progettano di allearsi per fare
fuori l'Unione Coloniale, grazie all'aiuto di una spia umana passata
dalla loro parte. Nessuno capisce il motivo, né si sa dove possa
essere. Ma la spia ha lasciato delle tracce mentali e da queste
tracce si può ricreare una specie di clone. Non sto a spiegare come
perché non ci riuscirei, sarebbe proprio un tentativo patetico, ma
credetemi che ha senso. Il protagonista del romanzo è proprio questo
clone.
Per
quanto ho detto finora sembrerebbe trattarsi di un romanzo di
spionaggio piuttosto banale e orrendamente scarno. A renderlo
meraviglioso ci sono i rapporti tra il protagonista, Jared Dirac, il
modo in cui inizia a interagire col mondo, il modo in cui i cloni
stessi interagiscono col mondo e tra loro; le battaglie morali, la
questione della scelta, l'etica, la giustizia; i rapporti tra le
razze, il dilemma del male minore, l'identità.
Non
so con quante altre parole posso consigliare un libro che sto
palesemente osannando dalla prima riga. Voglio altro Scalzi. Lo
bramo. Ora. Diamine.