Roderick Duddle di Michele Mari

Roderick Duddle di Michele Mari, edito da Einaudi nel 2014. Uno di quei libri di cui senti parlare così tanto e con tanto entusiasmo che arrivano a farti l'effetto opposto; le lodi ti tengono a distanza, e quel libro torna visibile, disponibile, abbordabile soltanto una volta che le voci si sono spente, e attorno è rimasto un alone di letterario rispetto.
Quando l'ho agguantato non sapevo cosa aspettarmi. Mi informo il meno possibile sulle letture che voglio fare, in modo da godermi massimamente il senso di sorpresa, il dipanarsi della trama come l'ha intesa l'autore nell'atto della creazione. Di Roderick non sapevo nulla, neanche il genere. Sapevo solo che era piaciuto molto a un buon tot di fidati lettori, e che dunque mi sarei potuta fidare.
Le prime pagine sono state una sorpresa meravigliosa, amplificata dalla trama che le ignora completamente fino quasi alla fine. Un'introduzione brevissima, in cui due bravacci, Salamoia e Scummy, minacciano Mari, l'autore stesso, obbligandolo a identificarsi come il proprio protagonista, come Roderick Duddle. È una presentazione curiosa, plurima, in cui la biografia e l'ambiente di Mari negano e poi confermano Roderick. Non so dire quanto l'introduzione possa aver giovato al libro, visto che davvero questa bizzarria meta-narrativa viene accennata qui all'inizio e – quasi – mai più in seguito; c'è da dire che io l'ho gradita enormemente. È stato forse quel pizzico in più di cui non si sentiva il bisogno, ma la cui presenza si nota e si apprezza. Il pizzico di sale nei biscotti, ecco.
La trama è intricata e contorta, al punto che ogni tanto il narratore onnisciente si prende il disturbo di riassumerla per il bene dell'emerito lettore. C'è questo Roderick Duddle, un ragazzino di dieci-undici anni, figlio di Jenny la Magra, richiestissima prostituta dell'Oca Rossa, sordido locale del signor Jones. Accade che Jenny muoia, e che Jones abbandoni Roderick al suo destino che il cadavere della donna non ha ancora avuto il tempo di raffreddarsi. Accade anche però che Jenny sia figlia di una nobildonna ormai anziana e prossima alla morte, che all'appropinquarsi della resa dei conti ha deciso di redimersi, ritrovando la figlia o quantomeno il sangue del suo sangue. E accade anche che la nobildonna si sia rivolta a un convento la cui Badessa è eticamente lacunosa, e che la suddetta voglia appropriarsi dell'eredità che spetterebbe al legittimo erede della nobildonna. Ma accade anche che il signor Jones venga a sapere dell'eredità, e che intenda mettersi a parte della faccenda.
La trama si allarga, presenta e include nuovi personaggi, tanti ma mai troppi. Scummy e Salamoia, i due bravacci dell'introduzione, un gentile pescatore, un assassino silenzioso, una suora sorprendente, notai e affini, muti, tocchi, un po' di tutto. Ed è interessante come non arrivi mai ad annoiare né a stancare, nonostante le quasi cinquecento pagine e la consapevolezza che il finale si sarebbe potuto raggiungere già con una notevole ricchezza di avventure a metà strada.
Una cosa che ho particolarmente gradito – tra le altre – è il narratore onnisciente, di sapore ottocentesco, che colloquia col lettore pure senza presentarsi. È uno dei fattori che mi ha portato a ricollegare Roderick Duddle a Il profumo di Suskind. Squallore, malaffare e sordidezza, però con levità e allegria. Un “chi vuol esser lieto sia” sotteso agli spargimenti di sangue e ingiustizia, ecco.
È un romanzo che consiglio barbaramente a chiunque l'abbia finora rimandato. È una di quelle rare opere cui non riesco a trovare critiche da addurre, neanche minime. E questo senza contare il pizzico in più di cui ciacolavo all'inizio.