L'invisibile ovunque dei Wu Ming

I Wu Ming sono un collettivo di scrittori di origine bolognese cui mi sono convertita tutto sommato di recente, circa un paio d'anni fa, dopo aver letto quella che all'epoca era la loro ultima opera, L'armata dei sonnambuli. È anche l'opera cui con cui consiglio di iniziare a conoscerli insieme a Q, pubblicata con lo pseudonimo Luther Blisset. Non saprei decidere quale sia tra le due la mia preferita. Comunque, Omnia sunt communia.
Dunque, L'invisibile ovunque, pubblicato un paio di mesi fa da Einaudi. Prima voce nella mia lista di Natale, corredata da sottolineature e frecce perché fosse chiaro che mi era imprescindibile. Un libro sulla Grande Guerra in rapporto a... beh, a un variegato insieme di argomenti. Cercherò di andare con ordine.
Intanto bisogna specificare che questa è una raccolta di racconti, che a quanto ho capito sono stati scritti individualmente dai vari Wu Ming. Non sono legati tra loro, anche se capita che alcuni nomi saltino i capitoli per intrufolarsi in più racconti, e spuntano a sorpresa per farti aggrottare le sopracciglia. Ma nulla di più, sono proprio storie separate che però avvengono tutte nello stesso periodo, nello stesso marcio contesto. La Grande Guerra, come dicevo, la cui gestione inefficiente ha provocato un'insensata carneficina.
C'è una cosa che apprezzo dei Wu Ming, in ognuno dei loro libri. Non tacciono, non scusano, non glissano. Apprezzo il fatto che si sentano liberi di ammettere, narrativamente e non, che al mondo esistono e sono sempre esistiti esseri umani cui della vita degli altri esseri umani non importa una beneamata cifra. E lo so che dovrebbe trattarsi di un'ovvietà, ma non la è affatto. Non la è più. Ora si tende a voler narrare la storia dal punto di vista di chiunque, del carnefice e del dittatore, apprezzarne i lati umani, che magari dopo aver bombardato una città piena di civili torna a casa e prepara giudiziosamente la cena al cane. È una cosa che mi irrita un sacco. Voglio dire, le tue colpe non ti esauriscono come persona, ma se sei uno schifo su gambe, schifo su gambe resti.
I Wu Ming si liberano di questa prospettiva moderna che vuole dare un cuore d'oro a tutti. E questo io lo apprezzo molto.
La Grande Guerra è stata gestita con tecniche retrograde, con scarso interesse per la vita dei soldati, e nell'italico caso, con equipaggiamenti ridicoli. Cesoie per il filo spinato che non riescono a tagliare, corazze anti-proiettile perfettamente perforabili, tecniche d'assalto irrisorie. Un anno sull'altipiano di Emilio Lussu era nel programma di Letteratura italiana durante il mio primo anno di università. Racconta dell'anno che la Brigata Sassari ha passato sull'Altipiano di Assiago, e lo consiglio a chiunque voglia farsi un'idea più precisa di come è stata combattuta la guerra.
Ma veniamo al libro.
Non so quanto se ne possa dire senza eccedere poiché, ripeto, è una raccolta di racconti singoli, e ognuno conta poche decine di pagine. Il primo racconta di un ragazzo che vuole partire volontario, un figlio di contadini che si sente stretto nella vita in mezzo ai campi. È un cacciatore e tutto sommato non mi vengono in mente altri modi per descriverlo.
Il secondo, il mio preferito, è quello che narra le vicende di un ufficiale tentato di simulare di essere impazzito per poter evitare il fronte, e insieme a un amico discute dei vari metodi per farsi passare per pazzo.
Pure il terzo mi è piaciuto moltissimo, coi suoi rimandi al mondo dell'arte. André Breton, teorico del surrealismo, attende nel proprio studio la sorella di Jacques Vaché, artista e amico sotto le armi. È il 1949 e la donna, Marie-Louise, viene a chiedere notizie del fratello, di cui non ha mai saputo nulla finché non ha ritrovato le lettere spedite dal fronte ai genitori. È un incontro che vaga, tra domande pensate e divagazioni artistiche.
L'ultima parte, che non so quanto si possa chiamare “racconto”, è un mockumentary sul camouflage di guerra, sull'artista mai esistito Bonamore e sull'esperienza in trincea che ha influenzato la sua arte, nonché sui suoi tentativi perlopiù infruttuosi di salvare migliaia di vite umane.
Mi rendo conto, giunta alla fine di questo post, di aver parlato poco e nulla del libro in sé. Ma, dicevo, sono racconti, e le storie narrate sono brevi. Se dico qualcosa più di una goccia, tanto vale inondare di spoiler. Sono racconti sugli esseri umani in guerra. Su quello che la guerra fa alle persone. Penso sia abbastanza.


Niente uccide un uomo come l’obbligo di rappresentare una nazione.”

Jacques Vaché