Le stanze buie di Francesca Diotallevi

Dunque. Le stanze buie di Francesca Diotallevi, edito da Mursia nel 2013.
Non so bene come iniziare questa recensione. Vorrei parlare della sorpresa che è stata questo libro, di come questa ragazza, Francesca Diotallevi, sia riuscita a spararmi in faccia una storia così bella e meravigliosamente scritta da stracciare ogni mia riserva, ogni mia prassi sulle recensioni 'a richiesta'. Sono davvero pochissimi i libri che accetto in lettura dai loro autori o dalle case editrici. Un po' perché sono estremamente esigente e un po' perché, lo ammetto, temo sempre di dovermi risolvere a pubblicare una recensione negativa. Odio scrivere stroncature, però quando va fatto, va fatto. Quindi, beh, di solito cerco di andare sul sicuro.
E ovviamente ero assai indecisa sulla possibilità di leggere questo libro, nonostante la gentilezza mostratami dall'autrice e... beh, dalla correttezza formale della sua mail. No, perché a volte si ricevono delle mail scritte in un italiese scorreggiuto e... ad ogni modo, ho finito per accettare in lettura questo libro, pur con tutte le mie riserve.
E l'ho amato. Fin dalle prime pagine mi sono crollati tutti i miei dubbi, della mia prassi non è rimasta che carta straccia. Lo stile, i personaggi, la storia... è tutto così ben fatto, così curato, eppure mai forzato. L'amore di Francesca per questo libro traspare chiaramente, eppure la struttura del romanzo, l'impalcatura, diciamo, è ben coperta da una fitta coltre di precisi abbellimenti. Solidità rivestita di velluto.
Non ho ancora detto nulla della trama e mi rendo conto che questo è sbagliato. Se continuo a soffermarmi sulla mia sorpresa innanzi a questo libro, finirò per metterlo in ombra. E ciò sarebbe male, malissimo. Dunque, vediamo.
La storia inizia con il protagonista, Vittorio, che nel 1904, si reca a una vendita all'asta dei beni di una famiglia per la quale ha lavorato quando era ancora un giovane e promettente maggiordomo. Ora, anziano e un po' claudicante, si ritrova a comprare per una cifra esorbitante un carillon e a straziarsi di ricordi fin dal tragitto in macchina che lo riporterà nella casa in cui presa servizio.
Da qui in poi sarà soprattutto una retrospettiva, sempre in prima persona, delle vicende che l'hanno portato in quella casa, quella del conte Amedeo Flores, dalla moglie Lucilla e dall'adorabile figlioletta Nora. Vittorio è stato richiamato come maggiordomo in quella casa per tenere fede al testamento dello zio, che pur non avendolo mai incontrato prima, lo ha sempre mantenuto agli studi, aiutando la madre, sua sorella, mandandole dei soldi ogni mese.
La casa del conte Flores è silenziosa, lugubre, spenta. I servitori sono pochi e malamente amministrati. Vittorio è un perfezionista, un orgogliosissimo pignolo che cerca sin dall'inizio di mettere in riga tutti gli altri, un altezzoso maggiordomo fedele ai suoi saldi principi. Un tipo freddo, scostante, razionale. Però quella casa gli impedisce di essere razionale fino in fondo. Ci sono strani rumori di notte, il campanello di una stanza vuota che suona la notte, nonostante sia disabitata da anni e sempre chiusa a chiave. Apparizioni e scricchiolii, misteri, domande. La piccola Nora che 'vede cose che non ci sono', il suo rapporto con la madre, che si rifiuta di affidarla a una bambinaia e passa le giornate a giocare con lei e a produrre profumi, il conte Flores che sembra incapace di amare la figlia. 
Ecco, una delle cose che ho amato di più in questo libro è l'atmosfera. Quel profumo grigio e nebbioso, quell'aria piacevole e inquietante da romanzo gotico inglese... è straordinario il modo in cui l'autrice è riuscita a riprodurla. E poi i personaggi, la loro fedeltà a se stessi e alla propria caratterizzazione. I piccoli gesti che si ripetono, che li descrivono senza ridondanza...
Più su facevo riferimento alla mia prassi per quando leggo libri mandatimi dagli autori. Prima di tutto non faccio sapere agli autori che ho iniziato la lettura e, se mi viene domandato, sono molto vaga. Non voglio che sappiano cosa sto leggendo, preferisco mantenere una certa distanza, fare in modo che non si aspettino qualcosa di 'troppo' positivo in caso la lettura dovesse procedere claudicante.
In questo caso, qualche chiacchiera con Francesca l'ho fatta. Le ho detto che avevo iniziato il libro, che lo stavo adorando, le ho chiesto se le piacesse Rebecca la prima moglie di Daphne du Maurier e lei ha ammesso che è uno dei suoi libri preferiti. Si sente. Si sente quel pizzico di Rebecca, quella punta di Jane Eyre... che sono poi tra i miei libri preferiti. Ma dicevo, il fatto è che per la prima volta mi sono sentita 'al sicuro', certa di avere tra le mani un libro che non mi avrebbe delusa dopo un tot di pagine, di poter mettere via tutti i pre-sensi di colpa per un'eventuale recensione negativa. Un bel libro e basta.
Un romanzo che non sembra figlio di questo tempo, che ha in sé il ritmo e la voce di un classico. Intenso, pregno, eppure così ben dosato.
Che ovviamente consiglio. Un sacco.

Grazie davvero, Francesca. Non solo per avermelo mandato.