Killshot di Elmore Leonard –
traduzione di Luca Conti – Einaudi, 2009
Questo lo avevo scelto su
suggerimento di Gaia di Giramenti, che parlandone aveva usato come metro di paragone 'Hap&Leo' di Lansdale. E io adoro Hap e Leo di
Lansdale, perciò mi sono fiondata in biblioteca ad abbrancarlo come
una belva feroce. Oddio, l'effetto non dev'essere stato precisamente
quello, perché il libro era sullo scaffale più alto e ho dovuto
saltellare con fare ben poco feroce e minaccioso per afferrarlo... ad
ogni modo, dicevo Killshot di Leonard.
Non ho trovato molte
analogie con Hap&Leo. I dialoghi erano molto più credibili –
scusa, Joe – e mancava quel senso di virile cameratismo da
'schiacciamoci le lattine in testa e poi prendiamoci a cazzotti e
aiutiamoci a rialzarci stagliati contro il tramonto'. Cioè,
quell'amichevole e scanzonata violenza. Sia chiaro, la violenza c'è,
anche se meno di quanta me ne aspettassi. È che non viene spiattellata,
sviscerata, calpestata o messa in risalto. Curiosamente, manca il
compiacimento della truculenza. Sì, va bene, qualche testa esplode,
pallottole di qui, ossa spezzate di là. Però con freddezza
chirurgica, senza stare troppo a rimestare nel sangue, capite? Se
questo sia un pregio o un difetto, dipende dai gusti. Io avrei
preferito qualche tamarrata splatter in più, ma lettori con un po' più
di classe preferiranno questo tipo di descrizioni.
La trama, in soldoni. Ci
sono Carmen e Wayne, una coppia felicemente sposata. Lui carpentiere
e lei agente immobiliare. Lui cacciatore di cervi, lei fissata con
l'analisi dell'ortografia. E poi ci sono questi due criminali,
Blackbird e Richie. Uno sicario per la mafia, l'altro un delinquente
che spazia tra sagaci intuizioni e squallida idiozia. Per puro caso,
Wayne e Carmen finiscono per ostacolare il piano ordito da Richie a
danno dell'agenzia immobiliare per cui lei lavora e... e poi si va
avanti.
Devo dire che c'è voluto
del tempo, perché la lettura ingranasse, più del solito. Però devo
dire anche che ho apprezzato molto i dialoghi realistici, il modo in
cui vengono spiegati i rapporti che legano i personaggi e le loro
peculiarità. Sono così veri che potresti incontrarli andando a fare
la spesa. Certo, nel caso di Blackbird e Richie non sarebbe un
bell'incontro, però...
L'inverno di Frankie
Machine di Don Winslow – traduzione di Giuseppe Costigliola –
Einaudi, 2008
C'è
Frankie Machine, in realtà Frankie Machianno, questo apparente
cittadino rispettabilissimo, proprietario di un negozio di articoli
per la pesca, di un'azienda ittica che fornisce il pescato a buona
parte dei ristoranti di San Diego, oltre che di tovaglie e biancheria
in genere. Lavoratore instancabile, divorziato ma ancora in buoni
rapporti con la moglie e con la figlia ormai adulta. Ha sessantadue
anni ed è stato un potente mafioso. Guarda con malinconia ai tempi
andati, alla tradizione, al senso dell'onore ormai perduto. Rimane
una leggenda nella criminalità organizzata, con la bocca ancora
cucita nonostante tutti gli anni passati. Eppure si ritrova braccato
da sicari mandati da una qualche famiglia mafiosa e, con tutto il
peso dei suoi anni, deve tornare a indossare i panni di Frankie
'Machine'. Indagini nel presente, intermezzi dell'amico detective
quasi arrivato alla pensione e di un giovane mafioso intraprendente
sulle sue tracce. Stralci del passato, ricostruzioni dell'America di
quegli anni, di Nixon, dei tempi d'oro delle 'famiglie'.
Ho
adorato questo libro, eppure ammetto che avrei gradito qualche
ingarbugliamento in più, un intreccio più elaborato, qualche
intoppo tra Frankie e la verità. Non che sia roba da poco, non che
ci siano argomenti tralasciati o che la trama non sia già complessa,
però...
Ad
ogni modo, lo consiglio. Molto.
…
giusto per essere chiari, la parte sopra non vuole in alcun modo
guardare con favore alla mafia e a tutto ciò che rappresenta o ha in
mano. È Frankie Machine a parlare di onore o tradizione, laddove io
etichetterei semplicemente con 'cacca'. Spero di essermi spiegata.