I Giardini degli Altri - Marta Barone

Questa recensione sarà, per me, diversa dal solito. Temevo che cominciarla sarebbe stato impossibile, che non avrei saputo cosa dire o che, peggio, avrei avuto timore di dire. Invece, eccomi qua, a un paio d'ore di distanza dal momento in cui, gioiosamente immersa in una vasca d'acqua bollente, ho finito di leggere quanto mi appresto a sviscerare.
Il fatto è che conosco l'autrice. Non siamo migliori amiche, non passiamo le giornate a mandarci messaggini zuccherosi su facebook, ma la conosco. E per quanto la conosco, la rispetto. Anzi, ammetto che provo verso di lei qualcosa che va oltre il rispetto e sfiora l'adorazione. È una ragazza di quelle che sembrano pronte per essere strappate dal mondo reale per essere infilate di forza in un libro. È carina, forte e spigolosa. Ha un'intelligenza tanto acuta da essere pungente e abbastanza rispetto per il prossimo – e per sé stessa – da non mordersi la lingua per sorridere meglio.
Perciò, sì, temevo che non sarei riuscita a recensire un bel niente, di suo. Che l'avrei venerata facendomi beffe del mio spirito critico o che, al contrario, avrei strappato le pagine alla forsennata ricerca di errori e brutture, decisa a non favorirla solo perché la conosco.
Fortunatamente, non è stato così. La recensione mi fioriva dentro mentre mi sciacquavo via il sapone, mentre mi asciugavo i capelli, mentre mi rivestivo. Ancora lontana dal computer, le ie dita si muovevano come danzassero sulla tastiera.
La scrittura di Marta è uno scampanellio dolce, un tintinnio da dietro le spalle. È un sole tiepido, un'atmosfera ovattata, un sospiro odoroso di tè.

''È sempre molto difficile entrare nei giardini degli altri.
Ti puoi far male a scavalcare il cancello, o non voler guardare quello che c'è dentro.
A volte sono pieni di dolore, ma anche di cose belle e speciali.
Tu hai trovato delle cose belle e speciali nel giardino di questa persona?''
''Sì.''
''E allora non c'è ragione per cui non avresti dovuto incontrarla.
È tutto qui il senso. È tutto qui.''

'I Giardini degli Altri', secondo romanzo di Marta Barone, edito da Rizzoli nel maggio del 2011, è un libro per bambini. Davvero, un libro per bambini, in tutto e per tutto. Niente frasi lunghe e arzigogolate, niente storie d'amore travolgenti e passionali, niente svolte macabre e sanguinose per attrarre un pubblico adolescente. Il protagonista Olivier e l'amica Nina hanno undici anni, sono ancora bambini, per quanto sull'argine dell'adolescenza. E il libro è tutto loro. Credo che, se l'avessi letto da piccola per poi riprenderlo in mano adesso, mi sarei trovata davanti a due racconti diversissimi. Ai bambini importerà il mistero, il fantasma, l'enigma. Agli adulti interesseranno di più i rapporti tra i personaggi, il loro evolversi, la reazione alla scoperta. Almeno, questo vale per me. Avrei preferito un'introspezione più approfondita e minuziosa, ma d'altronde è e rimane un libro per bambini. Ai bambini non serve che gli si dica come si sono sentiti Nina e Olivier quando si sono trovati ad avere a che fare con un fantasma: lo sanno già. Sono bambini. Siamo noi, ad avere bisogno dei sottotitoli.
La trama. È una trama semplice, che inizia con un tema assai ricorrente nella letteratura per l'infanzia. Olivier e la madre si stanno recando nella casa che occuperanno per le vacanze estive. La donna, per quanto ami profondamente il figlio, per motivi di lavoro non riesce ad essere sempre presente. Del padre, si nota solo una reiterata e dolorosa assenza.
Arrivato da poco, Olivier conosce Nina.
Nina mi piace. Forse mi piace proprio per il mio essere un po' Olivier, per come penso mille volte a quanto vorrei dire finché le parole non perdono il loro senso e mi muoiono dentro. Nina è viva, allegra, sfavillante. È attiva e rumorosa come un petardo. Olivier è più chiuso, riflessivo, timido. Sono diversi e complementari, la trasformazione della loro reciproca curiosità in amicizia è immediata. Fanno tutto ciò che fanno i bambini in campagna durante l'estate. Giocano, esplorano, nuotano. Il 'mistero' li avvolge quando Nina chiede a Olivier di accompagnarlo nella casa del signor Zabarà, che ha chiesto alla ragazzina se poteva dare da mangiare alla sua gatta mentre lui era via. Tralasciando il fatto che mi sono innamorata della gatta, la Regina Margot e che ho adorato, anche se per poco, il signor Zabarà (un approfondimento del suo personaggio in un prossimo libro mi darebbe una gioia, ma una gioia, ma una gioia... ma non farò pressioni.), la casa è deserta e viene giocosamente esplorata dai due ragazzini. Poi, trovano per caso un quadernetto. Un quadernetto antico, nascosto nel doppiofondo di un portagioie.
E, come al solito, non vado oltre. So che lo ripeto ossessivamente quasi ad ogni recensione, ma odio gli spoiler. Quindi no, non andrò avanti nella narrazione. A passeggiare per blog mi è capitato più volte che mi si rovinasse barbaramente un libro. Del tipo '… e così alla fine Svatusta si trova a dover scegliere tra fare questo o fare quest'altro'. Alla fine. Cioè, mi hai già raccontato tutto ciò che accade, tolte le ultime due pagine. Vabè. Sono polemica. E Svatusta è un nome che mi sono inventata in questo momento.
Ad ogni modo, 'I Giardini degli Altri' mi è piaciuto un sacco. Come ho già detto, avrei preferito una maggiore introspezione, ma dopotutto non è che se ne possa pretendere troppa in un libro per l'infanzia. L'introspezione è però uno dei temi portanti della precedente opera di Marta, 'Miriam delle cose perdute', che ammetto di aver preferito di molto all'ultimo parto. Sarà che, appunto, avevo accesso ad ogni moto interiore di Miriam, sarà che la sua storia di ribellione sotterranea mi ha appassionata. Sarà che per la prima volta, leggendo 'Miriam' ho avuto un moto di simpatia per la Vergine Maria. Prima di allora l'avevo vista solo come una donnina sorridente e impenetrabile sullo sfondo di un miracolo, o piangente e disperata ai piedi di una croce insanguinata. Non l'avevo mai vista forte. Non l'avevo mai vista donna o anche solo umana. Invece è così che ce la presenta Marta, una bambina e poi una ragazza, infine una donna. Una ribelle, gonfia di un'intelligenza acuta e coraggiosa, che sfida quanto non condivide e sacrifica quanto sceglie di sacrificare. Un'opera sulla gioventù di Maria può far rabbrividire nell'immediato e far pensare alla più bieca propaganda religiosa. In realtà non credo proprio che Marta sia cristiana. La sua è un'interpretazione libera da vincoli spirituali. Tutto ciò che vede in Maria è una donna legata, vincolata, prigioniera di un destino che non ha scelto e che, forse, avrebbe voluto rifiutare. Una donna forte.
Credo che questo sia uno dei vari aspetti che mi ha fatto adorare 'Miriam delle cose perdute', così come ho voluto bene a Nina. In un libro, per me, una figura femminile forte è come una vivace stretta di mano. In un mondo di Mary-Sue e Connor, una donna forte, che sia realmente donna e non solo 'femmina', è una sferzata di vita, di realtà, di audacia. È uno squarcio nella pagina, un grido, un pugnale conficcato a fondo in una bolla di marciume e pregiudizi. Datemi una Miriam, una Lyra, una Ronja, una Lisbet, una Coraline. Datemi una guida, un modello che insegni rispetto e fiducia in sé in quanto donne, non PER quanto donne. E io vi adorerò.