Libri belli e grafiche di copertina - per una lettura estetica e superficiale


Se c'è una cosa che faccio sempre più di rado – e ce ne sono un sacco – è piegarmi a quella che è l'esigenza primaria di un blog, ovvero di scrivere tre o quattro scempiaggini senza starci a pensare troppo – che dopotutto questo è un blog, una piattaforma fatta apposta perché un qualunque individuo possa smarmellare le proprie impressioni su pixel. Per come la vedo io i blog – sempre meno social, cannibalizzati dalle possibilità visive di Instagram&Simili– sono (anche) autonarrazione e chiacchierata, sublimazioni semi-letterarie tra profilo Netlog e diario segreto.
Esagero? Forse.
Ha a che fare col tema del presente post? Non molto. Dopotutto "scrivere scempiaggini” va a braccetto con la divagazione.

La categoria dei lettori forti è sparuta, capace di insopportabili aberrazioni elitarie e troppo variegata perché se ne possa parlare in termini di comunità. Ho smesso di definirmi una lettrice forte quando mi sono accorta che la definizione non basta a coprire il mio interesse maniacale per l'oggetto libro, la sua storia, le sue controversie. Preferisco usare il termine bibliofila per definirmi, perché mi pare più adeguato alla salivazione che mi aumenta copiosa all'ingresso di una stanza zeppa di libri.

Da bibliofila, adoro che i libri siano belli; non credo di peccare di superficialità, se immagino che l'attenzione che l'editore ha messo nella scelta dell'immagine di copertina rifletta un'uguale premura nella scelta e nella cura del testo. Mi commuovono le linee editoriali ben pensate e ben riuscite, il risuonare di una progettazione puntigliosa di una collana ad ogni uscita. La grafica di copertina, per me, riveste un'importanza vitale, e ci rimango malissimo quando un progetto grafico non si dimostra all'altezza del contenuto del libro.
Non mi va di chiacchierare qui delle cocenti delusioni, spesso made in grandi gruppi editoriali quando si mettono a ristampare classici della letteratura - Baldini&Castoldi, Giunti, io non dimentico.

 


Qui mi va piuttosto di applaudire a quegli specifici editori che fanno arte di ogni singola pubblicazione, delle cui cover mi adornerei casa.

Il sito della ABEditore è povero di informazioni sulla storia della casa editrice, e non dice granché di quando, come e perché sia stata fondata. È un peccato, ma in questa sede direi anche chissenefrega. Io l'ho scoperta giusto quest'anno al Salone del Libro e mi sono innamorata delle grafiche di copertina. I titoli mi sembrano in larga parte interessantissimi, ma ancora non mi è capitato di leggerne. In compenso scusate, ma guardate.



Del Vecchio la seguo da anni, ho una venerazione per le sue grafiche. Ogni pubblicazione è curata come parte di un tutto e come piccola meraviglia a se stante. Nessuna tracotanza barocca, nessun eccesso cromatico; i colori sono spesso tenui e pastellati – mi risalta subito alla memoria un romanzo su Giovanna d'Arco, così acceso rispetto ad altri. Sono copertine sobrie, eppure così sottilmente pensate, e con quella allegra assurdità nell'aggiungere a fine volume istruzioni per costruire cose impossibili. Quelle persone che ti sembrano normalissime ma hanno nel taschino della giacca un fazzoletto giallo accesissimo che useranno come oggetto di scena per raccontarti una storia assurda.



Le cover della SUR mi piacevano anche quando non piacevano a nessuno, prima che rivoluzionassero tutto il progetto grafico. Mi piacevano quei rettangoli duri chiassosi, coi titoli in un roboante impact. Erano simpatici, allegri e riconoscibili. Ma le nuove grafiche sono un'altra cosa, soprattutto nella collana principale, quella dedicata alla letteratura dell'America Latina. Umami di Laia Jufresa l'avevo preso solo per la copertina, e si è rivelata una delle letture più belle degli ultimi anni.



L'Orma fa cose stupende; le copertine spesse, morbide e porose, solitamente sul pastello. Immagini semplici, raffinate. L'uniformità coerente tra i titoli di uno stesso autore – che bello che siano andati a ripescare Irmgard Keun, che sennò chissà se e quando l'avrei scoperta, e Bernard Quiriny e Marcel Aymé. Le loro edizioni di E.T.A Hoffmann sono meravigliose.



Hypnos Edizioni sperimenta parecchio con le misure e le grafiche delle sue pubblicazioni. C'è una collana di novelle in misura (quasi?) A4 con cover colorate, stilizzate, simili a quelle della rivista della casa editrice. E poi le altre, quasi tutte improntate su grafiche vintage, chiassose, d'impatto e insieme veramente belle da vedere. Ce ne sono un paio che mi sono rimaste fisse in testa, Weird Science! in primis. Cioè, guardatela. Su.



Chiudo qui questo post composto principalmente di superficiale entusiasmo estetico, non sto a inventarmi una morale che non c'è tanto per dare una conclusione edificante al mio fanatismo letterario. Sappiate che non è un post motivato da un freddo interesse pecuniario/editoriale, non solo non mi è mai capitato di ricevere roba gratis dagli editori citati, L'Orma neanche mi ritwitta quando mi sdilinquisco recensendo i suoi autori, per dire. Da stoica che punta all'edonismo, voglio compiacermi di tutte le cose belle che vedo.