Una bambina da non frequentare di Irmgard Keun


Di Irmgard Keun avevo letto tempo fa Gilgi, una di noi e l'avevo adorato senza se e senza ma. Tralasciando la mera questione grafica – che effettivamente tocco di rado su queste lande – che da L'Orma editore non mi aspetterei giammai di essere esteticamente delusa, in Gilgi trovavo una prosa raffinata, un'intensità quasi violenta delle emozioni belle, una storia di tutti i giorni e disgraziata insieme, le giornate soddisfacenti e impegnative di una ragazza che vuole bastare a se stessa nella Germania fiorente (e ariana) degli anni '30, un'esplosione di sentimenti, le conseguenti macerie.
Giusto per dare un po' di contesto letterario, Irmgard Keun è nata a Charlottenburg nel 1905 ed è morta a Colonia nel 1982. Ha studiato recitazione, lavorato come dattilografa, ha visto i suoi romanzi finire nella lista delle letture nocive sotto il regime nazista, è stata incarcerata, ha subìto l'esilio. Gilgi, una di noi è stato il suo esordio, poi seguito da Doris, la ragazza di seta artificiale e poi da Una bambina da non frequentare. Non ha mai smesso di scrivere, ma per decenni le sue opere sono state accolte con indifferenza da pubblico e critica, e sono rimaste in un insopportabile oblio fino a tempi recentissimi. Spero vivamente che L'Orma continui a scavarle fuori dalla terra una dopo l'altra.
Dunque, Una bambina da non frequentare, pubblicato per la prima volta nel 1936, arrivatomi nella forma di regalo di Natale da mia madre – grazie, Mutti <3 – nella traduzione di Eleonora Tomassini ed Eusebio Trabucchi.
La bambina da non frequentare è la protagonista e narratrice senza nome, che ci risulta adorabile quanto pestifera, tremendamente schietta. Non so esattamente a che età i bambini inizino a usare un filtro nelle loro interazioni con gli altri, a sviluppare quell'empatia che impedisce di ferirli; il punto di questa bambina è che lei non sviluppa alcunché che possa facilitarla nelle relazioni con gli altri. A lei piace giocare, sporcarsi, provare il brivido del proibito e dell'errore – e c'è un punto verso la fine in cui racconta questo brivido e va oltre qualsiasi altra rappresentazione di discolo io abbia mai letto, oltre la birichinata del momento inizi a scorgere il punto in cui la monella diventerà un'adulta degna di un film di Tarantino.
La struttura è la stessa di molte opere che hanno al centro le piccole avventure di una bambina; capitoli in cui si raccoglie tutta una vicenda, un guaio al centro, o forse un inganno, una vendetta, gonfie di pensieri malevoli e piani machiavellici. La protagonista odia liberamente, desidera liberamente, si contorce all'interno di giornate che non le vanno bene e cerca di sottrarsi alle costrizioni, senza badare granché alle coneguenze delle sue azioni. Manca di tutto quello che dovrebbe renderla col tempo assennata, ricorda Pippi Calzelunghe ma soprattutto Zazie – quella di Queneau – perché si capisce che questo libro non è solo per bambini, anche se i bambini lo adorerebbero.
La bambina frequenta la “masnada dei banditi furiosi” – un gruppetto di amici – e confida al cinico e anziano vicino di casa le rimostranze verso la società che la sua famiglia non capirebbe, non prova che disprezzo per la severa zia Millie e odio per la compagna di classe Traut Meiser. Non è incapace di affetto, ma è priva di comprensione per le restrizioni che le persone si auto-impongono onde vivere efficacemente come membri della società.
Una lettura leggera e divertente, da cui ci si può aspettare un sacco di conflitti improbabili e continue sfide verso qualsiasi forma di autorità; una narratrice che si dimena all'interno delle proprie giornate non capisce – né spesso le importa di capire – la portata dei danni che si trascina dietro.

"Non voglio piangere. Gli adulti si mettono a ridere quando piango. E quando rido non gli va bene comunque perché è segno che ho fatto qualcosa che secondo il loro giudizio non dovevo fare. Devo imparare a prendere la vita sul serio. Ma com'è che si fa?"