La schiuma dei giorni di Boris Vian


Da quando ne ho sentito parlare la prima volta, ho capito che La schiuma dei giorni di Boris Vian – scritto nel 1947, edito in Italia da marcos y marcos nella traduzione di Gianni Turchetta – era un libro mio. Un libro che sulla carta mi sarebbe dovuto piacere moltissimo, che faceva proprio per me. Per questo l'ho iniziato più e più volte, invece di abbandonarlo definitivamente, anche se i primi tre-quattro tentativi sono stati fallimentari, – vai a sapere perché.
Boris Vian (1920-1959) è stato uno scrittore che balzellava di genere dal surrealismo al pulp, un trombettista jazz adoratore di Duke Ellington, un drammaturgo, un poeta e un traduttore. La schiuma dei giorni è tornato alla savia attenzione dei lettori nel 2013, con l'uscita al cinema dell'omonimo film diretto da Michel Gondry, – non sapevo che il film fosse di Gondry, e leggendo mi chiedevo chi potesse essere il regista, mi spuntavano in mente soltanto Wes Anderson e Terry Gilliam.
La schiuma dei giorni è stato un deciso flop editoriale; Gallimard ne ha venduto poche centinaia di copie. Il successo letterario, a Vian, è arrivato con un pulp noir scritto sotto pseudonimo, Sputerò sulle vostre tombe, – in Italia sempre edito da marcos y marcos, santi subito. Bello, niente da dire, ma nulla a che vedere con La schiuma.
Dovrei smetterla di tergiversare, ed esprimere chiaramente che io questo libro l'ho adorato, ma proprio visceralmente. È stato uno di quei rari casi in cui non mi limito a gradire la lettura, a volerla condividere e consigliare. Vorrei proprio poter ripescare Boris dalla tomba, mettermelo seduto davanti al tavolo di cucina con una tazza di rosolio invecchiato, e iniziare una conversazione che potrebbe portarci chissà dove. Ho adorato la trama, i personaggi, l'ambientazione assurda e crudele, e il fatto che il genio dell'autore non si lascia ammutolire dalla possibile comodità del surrealismo. Laddove tutto può accadere, sarebbe facile scrollare le spalle e deputare ogni spiegazione al “no, ma va bene così, tanto mica deve essere credibile”; ma ogni romanzo ha una sua logica e una sua coerenza interne non esplicitate, ma comunque ricavabili dal testo. Vian continua a seguire la sua logica pazzerella per tutto il libro, nel bene e nel male, nelle nuvole rosa che circondano i personaggi innamorati e nella fabbricazione di armi, più avanti, quando tutto si fa più cupo.
La trama, magari? Veniamo alla trama. C'è Colin, protagonista del romanzo, un ricco e piacente giovanotto di ventun anni, che abita in una bella casa col suo fido cuoco Nicolas e un topo grigio dai baffi neri che gli è molto affezionato. Ha una scatola piena di dobloncioni – moneta ufficiale – che lo trattengono da quell'infamia moderna del lavoro, un cuore d'oro, un pianocktail – un piano che crea cocktail a seconda della musica che viene suonata – e un migliore amico di nome Chick, ingegnere appassionato del filosofo “Jean-Sol Partre”, di cui raccoglie religiosamente feticci e manoscritti, spendendo tutto il suo denaro, pure quello che non ha.
Capita che Chick, all'inizio del libro, vada a trovare Colin e gli parli di una ragazza che ha conosciuto proprio a una conferenza di Partre, Alise, e che Colin la voglia conoscere. All'inizio pare invaghirsene – anzi, ne è proprio invaghito – ma poi, essendo Alise e Chick innamorato persi, ripiega sull'amica di Alise, Chloe, finché Chloe non diventa un non-ripiego.
Sembra abbastanza lineare, finora, forse pure un po' noioso. Solo che il tutto è inframezzato da scene improbabili, levitazioni assurde, conversazioni impossibili. E tutto funziona, e mentre Colin e Chloe passeggiano circondati da una nuvoletta rosa, il mondo intorno dimostra apertamente la sua crudeltà, il suo sprezzo per la vita umana. Mi ha ricordato un po' Brazil (Terry Gilliam, 1985), tra sogno e distopia.
Le cose vanno benone, e poi smettono di andare benone. Non è detto che il surreale debba essere bello perché può essere bello; entrano in scena il tragico, il disturbante. Quello che Boris potrebbe risolvere con una goccia di rugiada e una capriola può anche restare senza soluzione, perché il bene e il male hanno lo stesso potere, nel mondo matto in cui è ambientato La schiuma.
L'ho adorato, l'ho adorato, l'ho adorato.
Non solo lo consiglio violentemente, – certo, se pensate che il surrealismo francese possa fare per voi – ma aggiungo che se lo avete amato e non sapete dove sbattere la testa, potreste provare Martin il romanziere di Marcel Aymé.
Diamine, Boris, già mi manchi, io la tua bibliografia me la divoro.