Nelle
ultime settimane ho letto un sacco, a livelli che non toccavo da
quasi un anno. La ragione è da trovarsi nella tendinite con cui sono
riuscita a piagare le mie ginocchia. Nulla di grave né di troppo
doloroso, infatti continuo a camminarci sopra impedendomi la completa
guarigione. Più che altro mi sono proibite le care vecchie
passeggiatone di 3-4 ore, e quelle 3-4 ore le trascorro a leggere o
a guardare serie tv – serie tv meravigliose che mi fanno dare
ragione a quegli articoli letti mesi fa secondo cui le serie tv sono
la nuova letteratura etc. Dicevo.
Ho
letto tanto e ho recensito poco. Cerchiamo di rimediare.
Radio
Libera Albemuth di Philip K. Dick – traduzione di Maurizio Nati –
Fanucci, 2007
Questo
è stato il primo libro di Dick che io abbia mai letto. L'ho scelto
per la trama e per il fatto che non era granché famoso, anzi. Ci
sono autori che preferisco scoprire così, partendo dalle opere meno
famose, da quelle più tarde. Mi piace partire dalla fine e poi
tornare all'inizio, per apprezzare il contrasto e la crescita. In
realtà non so quanto abbia fatto bene a iniziare proprio da Radio
Libera Albemuth. Se da un lato l'ho trovato certamente originale e
interessante come trama, per non parlare della costruzione e del
punto di vista, dall'altro mi è sembrato un po' troppo didascalico e
moraleggiante.
Vediamo,
la trama in soldoni. Il romanzo è narrato in prima persona prima da
Philip K. Dick stesso, personaggio dell'opera stessa, poi dal suo
migliore amico nonché protagonista Nicholas Brady. Si conoscono
nella città universitaria di Berkeley nel pieno della guerra del
Vietnam, Dick è un docente (nonché ovviamente scrittore) e Nicholas
lavora come commesso in un negozio di dischi. Tutto scorre più o
meno normalmente, quando ad un certo punto Nicholas viene contattato
da un'entità di natura sovrannaturale – o almeno così pare
all'inizio – e dal primo contatto, ampiamente discusso con l'amico
Phil, diventerà una conoscenza duratura e complessa, che influirà
in vari modi sulla vita di Nick. A questo si aggiungono l'ascesa di
un dittatore e faccende di fantapolitica americana. E fin qui tutto
bene, ho gradito molto.
Il
mio problema con questo libro – che ammetto, alla fine iniziava un
po' ad annoiarmi – credo dipenda dalla bizzarra esperienza mistica di Dick e dal
suo conseguente dibattersi tra fede e ragione, tra Dio e Scienza. Lungi da me
dare un qualsiasi giudizio, non specifico neanche da che lato della
bilancia penda il mio ago, che non lo trovo proprio pertinente. Il
fatto è che gli arrovellamenti di Dick finiscono in bocca ai suoi
personaggi per lunghe, lunghissime pagine. E questo mi è risultato
un tantinello pesante.
Questo
non toglie la ganzaggine del romanzo nel suo complesso, ma sarebbe
assurdo non farvi cenno. Non so quale sarà il mio prossimo libro di
Dick. Forse uno dei suoi capolavori, Ma gli androidi sognano pecore
elettriche? o La svastica sul Sole. Chissà.
La
ragazza che voleva essere Jane Austen di Polly Shulman – traduzione
di Bérénice Capatti – Fabbri Editori, 2007
E
sì, dopo Dick passiamo a una commedia romantica per adolescenti di
ispirazione Austeniana. Perché no? Soprattutto considerando che tra
Radio Libera Albemuth ci sono stati Il condominio di J. C. Ballard e
The Junkie Quatrain di Peter Clines, due distopici belli tosti, il
secondo dei quali pieno di zombie. Avevo decisamente bisogno di
allegre frivolezze.
La
ragazza che voleva essere Jane Austen – titolo originale Enthusiasm
– è una lettura breve, simpatica, ben costruita e leggerissima. Mi
ha dato l'impressione di essere uno dei volumi particolarmente
riusciti della collana Le Ragazzine – sono settimane che mi
riprometto di scrivere a riguardo – ma con una protagonista fan di
Jane Austen. O almeno, di Orgoglio e Pregiudizio, visto che si parla
solo del capolavoro di zia Jane, ma tanto basta.
La
trama è di una semplicità disarmante. C'è la protagonista e
narratrice Julie che frequenta il secondo anno di liceo insieme alla
migliore amica e vicina di casa, Ashleigh.
Ora,
Ashleigh. Devo fermarmi subito perché Ashleigh. Ashleigh è
un'entusiasta. È un'allegra minchiona. È una che si piglia un sacco
per le cose, che passa da una passione inarrestabile all'altra, che
se ne frega di quanto appaia ridicola e cerca sempre di coinvolgere
chi le sta accanto nelle sue cavolate. Io ho voluto un sacco bene ad
Ashleigh, io la voglio come amica e compagna di avventure. Essendo io
stessa un'allegra minchiona, mi capita di rado di trovare personaggi
con cui posso immedesimarmi in maniera così stupida e totale. Forse
non è un bene che mi sia capitato con
l'amica-spalla-comica-sedicenne, ma almeno è capitato. Non è male
quando capita.
Dicevo,
Julie è fan di Jane Austen, e Ashleigh è un'entusiasta. Capita che
Ashleigh scopra Orgoglio e Pregiudizio e vada in totale visibilio,
inizi a vestirsi in stile Regency – cioè, più o meno – e inizi
a parlare in modo forbito e antiquato, che voglia assolutamente
partecipare a un ballo e simili. E la trama semplicemente si mette in
moto, con giusta naturalezza. Cotte, vita da adolescenti, famiglia,
equivoci. Tanti equivoci. Se volete leggerlo, evitate il retro della
copertina perché praticamente spiattella il finale.
Ovvio
che non si tratti di un capolavoro, ma di certo non vuole esserlo. E
ho apprezzato i vari riferimenti alla produzione Austeniana –
alcuni nomi che appaiono e il fatto che Julie e Ashleigh siano un po'
le sorelle Dashwood. Forse l'autrice avrebbe potuto osare un po' di
più in questo senso, ma non mi lamento. Ho avuto ciò che mi
aspettavo, quindi benissimo così.