Figlie sagge di Angela Carter

Dunque, vediamo. Figlie sagge di Angela Carter, edito da Fazi poche settimane fa nella traduzione di Rossella Bernascone e Cristina Iuli. Credo sia stata proprio Fazi ad avere dato il via, con Stoner, ancora nel lontano 2012, alla riscoperta dei classici della letteratura rimasti inghiottiti da un sistema editoriale troppo prolifico. Il successo di Stoner ha convinto altri editori a convertirsi alla ricerca dei capolavori perduti, ma l'esempio più calzante rimane Fazi, che ha riportato in libreria Elizabeth Jane Howard, Wilkie Collins, Thomas Williams – ho iniziato stamattina I capelli rossi di Harold Roux – e Dawn Powell. Spero che la direzione non cambi, che in mezzo a cotanta narrativa del secolo scorso ci sguazzo con inusitata gioia.
Ma forse è il caso che io inizi a chiacchierare di Figlie sagge, che finora non ne ho detto nulla. Intanto ringrazio nuovamente Fazi per avermelo mandato insieme a Il tempo dell'attesa, in seguito all'inaspettata e dolorosa dipartita del mio ereader. Il karma si è abbattuto negativamente sulle mie letture, poi un colpo di fato ha stroncato il mio sacramentare.
In Figlie sagge la voce narrante è quella di Dora, una donna di settantacinque anni che vive insieme alla gemella – Nora – e alla prima moglie del padre – che si è finora rifiutato di riconoscerle come frutto dei suoi lombi – in una casa troppo grande dalla sponda bastarda di Londra. Nora e Dora sono due ex-ballerine, anche se forse la dicitura non è del tutto corretta. Nora e Dora sono state ballerine in gioventù e mentre la gioventù se ne andava quatta quatta, e anche da ultrasettantenni continuano ad esserlo, pure se hanno smesso di ballare. È quasi una questione di carne e sangue, della levità dei passi che è diventata una filosofia di vita, di luccichio e squallore. La vita di Nora e Dora è come un sipario di velluto consunto, ma ancora rosso. Come una giacca di paillettes vecchia che fa ancora scena, come un brillante da due soldi che riflette la luce più di quanto possa fare un diamante. Ho adorato il tono di Dora, il suo saltare da un momento all'altro della sua vita con la sorella e nello “show business”, la leggerezza con cui raccontava dell'abbandono e poi di uno spettacolo. Nora e Dora sono piene del “chi vuol esser lieto sia” che sto cercando di inculcarmi in testa.
Nora e Dora sono a casa, immerse nella loro routine squallida e noiosa, dall'altro lato dello schermo televisivo, che nei decenni si è riempito dei loro quasi-parenti, i figli e le figlie di Melchior Hazard, celeberrimo attore Shakespeariano che si è sempre rifiutato di riconoscerle. Mi piace la scrollata di spalle implicita a ogni recriminazione, il lieve fatalismo che impedisce alla narrazione di farsi buia e pesante. È stato quel che è stato. Dicevo, Nora e Dora sono nella loro casa di Londra quando ricevono l'invito per la festa del centesimo compleanno del padre, praticamente festa nazionale, un invito che mai avrebbero sperato di ricevere. E questo giorno funge da cornice, racchiude appena tutta la vita di Nora e Dora, dei loro genitori, della loro adorata nonna nudista e vegetariana, dello zio Perry, delle odiate e odiose sorelle illegittime Saskia e Imogen. Racchiude Hollywood e un comico con l'Impero Britannico tatuato addosso, e i loro amori e il loro tragico anelare al riconoscimento paterno. Dora ci racconta tutta la sua vita, e insieme quella di Nora, visto che hanno vissuto in tandem, nello spazio di una giornata, e poi ci regala un finale cui non so se credere.
Va da sé – è abbastanza palese – che il libro mi è piaciuto un sacco. E non credo di essere pienamente in grado di far capire perché. È il tono di Dora, la sua spietata leggerezza. Ho usato almeno altre cinque volte questa parola, “leggerezza”, nel corso della recensione. È così che vivono, ed è forse il modo migliore per farlo, anche se non è che siano finite proprio benissimo, dimenticate dal mondo, circondate da foto in cui erano giovani e belle e danzavano insieme. I fari che si sono allontanati, la grandezza che c'è stata – forse – e che è soltanto un ricordo. Eppure, Dora e Nora danzano.