Sarò
sincera, prima di Fiztgerald non pensavo che sarei mai riuscita a
trovare dei classici americani che potessi sentire “miei”.
Contemporanei sì, certo, anche troppi per poterli leggere e
conoscere tutti, figuriamoci. Ma coi classici c'è qualcosa che mi
stride, che mi impedisce di godermi la lettura. Forse perché molti
classici americani non sono fatti per essere goduti, ma per essere
sofferti. Più sangue che inchiostro, pagine secche e aride come il
deserto. Come si fa a gioire leggendo Steinbeck, London, Hemingway?
Ho amato La valle dell'Eden del primo, ma a distanza di anni non sono
ancora riuscita a togliermi di dosso l'atmosfera greve e disperata.
L'America è stata la terra del sudore, delle speranze disattese,
della disillusione, e certi scrittori in quella disillusione sono
nati e cresciuti, e hanno finito col portarsela dentro fino nei
libri. È debolezza da parte mia, oppormi al dovere di leggerli per
salvaguardare il mio umore, però non posso farci niente. Verrà il
loro tempo, ma non adesso. Non ancora.
Nel
frattempo, Francis Scott Fitzgerald, che ho conosciuto con
quello che unanimante viene definito il suo capolavoro, Il grande
Gatsby, di cui ho chiacchierato qui.
C'è
qualcosa di fortemente inglese, in Fitzgerald, e forse è l'ironica
giustizia con cui vengono trattati i personaggi. E magari anche il
contesto sociale – schifosamente alto – in cui questi personaggi
vivono e da cui ignorano e disprezzano le classi lavoratrici.
Vediamo,
Belli e dannati, che ho letto e adorato nella traduzione di
Francesco Pacifico edita da Minimum Fax.
Belli
e dannati è la storia di Anthony Patch, un giovane scapolo, orfano
di padre e madre ma supportato economicamente dal ricco nonno Adam
Patch, un burbero proibizionista anaffettivo, teso alla
ri-moralizzazione degli Stati Uniti. Anthony ha studiato ad Harvard,
si è fatto qualche amico, frequenta l'alta società americana e
abita vicino a Central Park, nel comodo appartamento dove il suo
maggiordomo provvede a dargli la sveglia ogni mattina alle nove in
punto. Ha una bella vita vuota, fatta di lunghe dissertazioni
filosofiche con gli amici Maury e Dick – quest'ultimo un aspirante
scrittore che permetterà a Fitzgerald di chiacchierare del mondo dei
letterati e del mondo visto dai letterati, di tanto in tanto. Dicevo,
Anthony ha questa bella vita finché non conosce Gloria, una
fanciulla splendida, una donna così bella da mozzare il fiato, e che
della sua bellezza ha saputo fare un'arte. Meraviglioso il capitolo
in cui il personaggio di Gloria, prima ancora di comparire nel
romanzo, viene spiegato in un succedersi di battute tra la Bellezza
e... beh, una qualche forma divina non precisata.
Il
romanzo procede lentamente, al punto che eviterò di chiacchierare di
quanto accade man mano che la storia va avanti, pure se si tratta di
tematiche essenziali per capirlo. Va bene che è un classico, e c'è
questa credenza diffusa che dei classici si possa e debba sapere
tutto ancora prima di leggerli, ma io sono stata ben lieta di averlo
scoperto esattamente nel momento in cui l'ho letto, quindi vi lascio
la stessa opportunità.
Belli
e dannati è un romanzo stupendo, luminoso e squallido, spietato e
brillante, con cui Fitzgerald ha voluto raccontare... che cosa? A
pensarci bene, non sta a me dirlo. Ma per quel che ne posso capire,
mi è parso volesse raccontare un'epoca, una generazione piena di
debolezze e priva di nerbo, così frivola e leggera che non ci vuole
nulla a schiacciarla.
Sarei
folle a non consigliarlo. Leggetelo, punto.