Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie

Dunque, Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie, edito da Einaudi nella traduzione di Andrea Sirotti, un libro che ho iniziato a desiderare non appena ne ho letto qualcosa sull'Internet. Un libro apprezzabile per così tanti aspetti che è difficile da ricapitolare, la cui trama curiosamente passa in secondo piano, e pure di brutto, rispetto alle tematiche affrontate.
Vediamo di iniziare dalle cose semplici. La protagonista, Ifemelu, è una donna nigeriana espatriata in America per studiare, che finisce per fermarsi negli USA per quindici anni. Il libro inizia con la sua decisione improvvisa di chiudere il blog grazie al quale si è guadagnata da vivere per anni e la sua relazione con Blaine per tornare in Nigeria. E poi c'è Obinze, il suo primo amore, che in Nigeria ha fatto fortuna e che vive con una moglie stupenda e una figlia che adora. Ha quel tipo di ricchezza che ti fa mancare il terreno da sotto i piedi, perché non riesci mai a capire del tutto se la realtà che stai vivendo non ti sia stata ricamata addosso dal mondo esterno, per avidità o perché, molto semplicemente, i ricchi vanno leccati. Dunque ci sono Ifemelu e Obinze, nel presente, a quindici anni dal loro ultimo incontro e tuttora indissolubilmente legati.
E poi, soprattutto, c'è la loro storia, soprattutto di Ifemelu, dall'infanzia fino all'America, con particolare focus sull'America vista dai suoi occhi di nera africana.
Personalmente penso che non si possa capire l'America senza considerare il suo rapporto con la razza, e con le razze. Mi permetto di affermare che noi italiani, in generale, ne sappiamo e ne capiamo davvero poco perché, prima di leggere Joe R. Lansdale, e soprattutto prima di un esame di Storia Americana che mi ha fatto perdere il sonno – sapevate che era d'uso scattare foto durante i linciaggi e poi usarle come cartoline? Buoni incubi. - dell'America sapevo pochissimo, men che meno del razzismo. E non è che le mie fonti siano intellettuali e autorevoli; la mia visione è formata perlopiù da programmi comici. Dai Boondocks, da Chris Rock, da Dave Chapelle. C'è chi si lamenta della comicità degli afroamericani perché batte sempre sul razzismo. Personalmente trovo sia una critica un po' del piffero. Il razzismo toglierà le tende dalla comicità quando 1. Toglierà le tende dal mondo e 2. Quando cesserà di essere divertente.
Attraverso le esperienze di Ifemelu la Adichie racconta la sua America. Non un'America cattiva, ma un'America confusa, fin troppo sensibile a questioni che per lei, in Nigeria, non esistevano neanche. Un'America cieca, perché rifiuta l'esistenza di ciò che non può toccare e vedere in prima persona; che vede in ogni atto, anche il più semplice, un'affermazione politica, pure nel lasciarsi i capelli naturali.
La questione della razza, in Americanah, è sempre presente, un rumore di sottofondo che non si interrompe mai; questo perché è sempre presente nella vita dei neri negli USA. Nei capitoli ambientati in Nigeria la razza scompare, la pelle si amalgama, e diventa qualcosa di cui si può parlare senza timore. Non voglio ridurre questo libro a una specie di lungo pamphlet, a un saggio camuffato da romanzo per fare passare meglio un messaggio. No, è un racconto i cui personaggi sono ottimamente caratterizzati, in cui si muovono coerentemente e onestamente. Ma è anche un libro che ha come tema portante la vita di Ifemelu in America, e se l'America rende preminente il fatto che Ifemelu sia nera, sarebbe stato disonesto da parte di Adichie raccontarla diversamente.
Sorprenderà, specie dopo la mia lunga pappardella, ma non è un libro pesante, né doloroso. Non è sempre allegro, perché sarebbe falso come quei sorrisi che nascondono un lutto di cui non si vuole parlare; ma nessuno è sempre allegro. Ifemelu e Obinze sono raccontati in modo onesto, mai idealizzati – se non reciprocamente – né ridotti a quello in cui credono o a quello che fanno. Sono estremamente vivi, soprattutto nei loro dubbi e nei loro difetti.
E io questo libro lo consiglio massimamente. Chimamanda Ngozi Adichie è tra gli autori che prima o poi vorrei incontrare, per dirle quanto ho adorato il suo libro. Anche se poi magari mi sforzerei così di tanto di farle capire che non sono razzista che mi uscirebbero commenti eccessivamente entusiastici sui suoi capelli, con conseguente imbarazzo.
E diamine, leggetelo.