Piccoli scorci di libri #57

Scritto sulla tua terra di Mauro Libertella – traduzione di Vincenzo Barca – Caravan Edizioni, 2015

Facci sapere cosa ne pensi, ci teniamo”, mi scrivono le Caravan, sotto il ringraziamento che ho lasciato sulla loro pagina facebook. Un paio di giorni fa è finalmente giunto tra le mie mani uno dei pacchi con gli acquisti che avevo commissionato a Irene-Nereia (qui il suo sfavillante blog) per la fiera romana Più libri, più liberi. E dentro c'era un mio acquisto – Whisky e chicchi di caffè di Ferran Torrent, Gran via Edizioni – e Scritto sulla tua terra, oltre che il volutissimo Alle fanciulle e alle figlie del popolo di Anna Maria Mazzoni, ultima uscita della collana femminista di Caravan. C'era che a Irene avevo detto, per quanto riguarda la Caravan, “Scegli tu, stupiscimi”, o qualcosa del genere, perché Caravan partecipava a Blog Notes (qui per capire cosa sia) e Irene ha passato un sacco di tempo nello stand. È andata che mi hanno regalato, da recapitarmi, entrambi i libri che ho citato. Questo compreso. Non sono un granché nei ringraziamenti, ma ancora grazie mille, Caravan Girls.
Dunque, il libro. È un libriccino piccolo, corto, di nemmeno cento pagine. Racconta, in sostanza, il lutto di Mauro, figlio di Hèctor Libertella, che in Argentina è uno scrittore famoso, e che qui forse arriverà prima o poi. Mauro racconta del padre, del suo rapporto con l'alcol, di quello che rimane di una vita che è arrivata alla fine. Del rapporto di Hèctor con la morte, soprattutto negli ultimi tempi. Della sua dignitosa resa.
Parla anche di sé, Mauro, attraverso la figura del padre. Perché Mauro vuole scrivere, ma teme il peso del nome Libertella, che Hèctor ha caricato di significati e aspettative. Dev'essere dura fare i conti con un'eredità del genere.
E dunque, in realtà non c'è molto altro da dire. È la storia di Mauro, un ventitreenne cui è morto il padre, e cerca di fare i conti con la sua perdita scrivendone. Lo stile è chiaro, pulito, scorrevole. La prospettiva è realistica, non ci sono quegli spostamenti verso l'irreale che ci si aspetterebbe da uno scrittore sudamericano.
Dicevo all'inizio che le Caravan Girls mi hanno chiesto di far loro sapere cosa ne pensavo. Ecco, qui cito la stessa risposta che ho lasciato sulla loro pagina.
L'ho letto tutto in due mandate, con l'influenza e gli occhi che bruciavano.”
Penso sia una risposta esplicita.

Il libraio che imbrogliò l'Inghilterra di Roald Dahl – traduzione di Massimo Bocchiola – Guanda, 2009

Questo libriccino mi è stato regalato per la laurea. Diciamo che era il regalo da scartare, a fronte di un regalo enorme di cui ancora non mi sono appropriata – più o meno – in quanto immateriale. Ne parlerò sicuramente, ma non ora. Comunque ho gli amici più belli del mondo. Invidiatemi.
Io adoro Roald Dahl. Lo adoravo da piccola, quando mi sono divorata tutti i suoi titoli nella collana degli Istrici, e gli ho voluto un sacco di bene quando Longanesi ha pubblicato, qualche anno fa, Lo zio Oswald, di genere assai diverso. Questi due racconti mi mancavano, ed era veramente un peccato. Sono geniali. Brevi, assurdi e geniali.
Il primo racconta di William Buggage e della sua segretaria, ufficialmente proprietario di un negozio di libri usati e rari. Principale occupazione, truffatore.
Nel secondo si assiste alla reazione di un genio della meccanica ai continui rifiuti con cui le riviste letterarie rispondono ai suoi racconti.
Sono entrambi racconti grotteschi e cinici, cattivi. Mostrano la pochezza dell'animo umano, personaggi privi di dignità e rispetto per il proprio mestiere, perfino per ciò che dovrebbero amare. E nello stesso tempo sono due racconti che lasciano col sorriso sulle labbra, e un po' di amaro per non aver mai avuto l'occasione di conoscere Roald Dahl in vita.