Impressioni sulla tetralogia di Elena Ferrante

Questo è il mio primo post dopo un discreto tot di tempo, che tra il caldo e le vacanze mi è scivolato via così in fretta che a malapena me ne sono accorta. Agosto. Siamo già ad agosto. E vorrei poter scrivere che tornerò a prendermi cura di questo blog con passione e regolarità a partire da oggi, ma questa è solo una settimana di pausa in mezzo a... beh, in mezzo all'estate, e presto sparirò di nuovo.
Dunque, qualche giorno fa, sul megabus per Torino – diamine, quant'è comodo – ove mi recavo per assistere al concerto dei 2Cellos e riabbracciare qualche amico, ho finalmente finito di leggere la tetralogia di Elena Ferrante iniziata con L'amica geniale, Storia della bambina perduta. Non so perché mi ci sia voluto così tanto per decidermi a iniziarlo, dato che i primi tre volumi mi sono volati sotto gli occhi, in una lettura continua e forsennata, un unico sprint da far bruciare gli occhi. Eppure, non so, nonostante fossi ansiosa di sapere cosa sarebbe successo a Lila e a Elena dopo la fine del terzo volume, chissà perché mi sono bloccata, e l'ultimo libro mi ha atteso in silenzio su una mensola per mesi.
Questa tetralogia è speciale, mettiamola così. E questa è una delle pochissime frasi di senso compiuto che troverete in questo post, perché è difficile trovare le parole giuste e il giusto punto di vista. L'aspetto più importante è, credo, la dolorosa onestà con cui ogni gesto, ogni pensiero, ogni sentimento è descritto e riportato. Tutte le umiliazioni, inferte e auto-inflitte. E poi una Napoli che non viene idealizzata, né odiata. E un periodo storico, quello tra gli anni '60 e gli anni '80, con i suoi moti giovanili, le sue menzogne, le sue rivendicazioni, le sue speranze, che viene raccontato sinceramente. Chi ha fatto cosa perché credeva in qualcosa, il dubbio su quanto abbia provocato il fallimento, la scelta lasciata nelle mani del lettore. La vita di Elena, la sua mente aperta pronta ad assorbire il mondo, il suo legame con Lila che si tende fino quasi a spezzarsi, ma poi torna a ricucirsi solo per sfilacciarsi di nuovo. Le loro vite parallele, l'irrisolto dilemma su quello che Lila avrebbe potuto essere, su quello che Elena rappresenti effettivamente per lei, uno specchio, una marionetta, o la persona cui tiene di più al mondo. Le conclusioni su quello che avviene che vengono solo suggerite, perché è con quei dubbi che Elena rimane, dopotutto, e a noi non è dato di saperne più di lei, ci tocca vivere con quelle domande sulle spalle. Chiedersi perché Elena Ferrante abbia scelto di chiamarsi come Elena-Lenuccia, la chiave di lettura che si moltiplica in un gioco di specchi, perché Elena racconta davvero, e Elena parla di sé, e interpreta il suo mondo e si pone interrogativi sulla narrazione, finché le due Elena si fondono.
E poi il modo in cui i personaggi vengono raccontati. Anzi, credo che il termine “raccontati” stoni, perché è un verbo da scrittori, e questi personaggi sono troppo vivi per essere personaggi. La loro forza, la loro inerzia. Il loro vivere trascinati dal contesto, bloccati, combattuti. Il modo in cui cambiano e, soprattutto, il modo in cui si contraddicono. Come vogliono una cosa e poi tornano indietro, ci ripensano, non lo sanno più neanche loro, si guardano intorno, si raccontano la propria storia da una prospettiva diversa per poter trovare un senso alle proprie azioni.
E i legami tra i personaggi. Lo sputo sul concetto di destino, di dipendenza, di “non posso vivere senza questa persona”, perché non è così che vivono le persone. Vale solo per i personaggi, per Heathcliff e Catherine, per Romeo e Giulietta, per quelli che non hanno abbastanza all'infuori di sé e devono aggrapparsi a un'altra persona per non accettare di non essere poi granché.
Dio, quanto ho adorato questi libri. Quanto li ho trovati potenti, e profondi, e “qualcos'altro” rispetto a quanto mi trovo davanti di solito.
Tanto che mi è quasi doloroso non fare cenno all'immenso fastidio che provo quando questa tetralogia viene tacciata di non essere nulla di speciale, di essere alla stregua di un romanzo rosa. Sono consapevole del pieno diritto di ognuno a esprimere le proprie opinioni, che ogni lettore deve essere rispettato come tale, che non mi è dato di stringere tra le mani la fiamma infallibile della verità e che quindi non ha senso infiammarsi di integralismo letterario.
Ma cristo, questa roba è così forte che negarne l'impatto sarebbe come impastare i biscotti con la cocaina perché “No, ma ti assicuro che è farina. Credimi. Zio Franco passa sempre i pomeriggi sul tetto a fingere di essere un'anatra.”
Quindi, sì.
Leggete questi dannatissimi libri. Punto.