Confessioni librose* #2

Ebbene, buongiorno.
Nella foto che potete ammirare qui a destra – mio padre mi ha passato un suo vecchio telefono comprensivo di fotocamera. Il progresso tecnologico è nelle mie mani da un paio di giorni e già ho la memoria piena di foto di gatti scattate ovunque. Tremate, felini. - ho voluto rappresentare la pila di libri finiti nei mesi scorsi di cui ancora non ho chiacchierato qui sul blog. C'è di tutto, da Anne Rice alla Ferrante, a St. Aubyn ai Wu Ming, da Neri Pozza a Einaudi, da gotico a graphic novel. Di tutto.
E io che faccio, se non rimandarne ulteriormente la disquisizione?
È passato, quanto?, un anno e mezzo da quando mi sono “confessata” per la prima volta, con un post intitolato Confessioni librose. Ho forse rimediato ad alcune pecche, nel frattempo? Manco per idea. Niente recupero dei classici italiani, tutt'altro. Ancora niente Joyce nella mia libreria, niente Foer, né Dickens ad adornarmi gli scaffali.
In compenso ho scoperto nuove “pecche”, o per meglio dire, allergie da ammettere. Perché non esiste il lettore perfetto, né l'autore perfetto. Non possiamo amare indistintamente tutto ciò che è meritevole, e questo l'ho dimostrato abbandonando Rumore bianco di Don DeLillo, autore americano che io stessa avevo proposto per il gruppo di lettura dal quale sono vergognosamente sgusciata via.
Ordunque, vediamo.

Virginia Woolf, siediti accanto a Joyce e insieme fate spazio a Proust. Non siete voi, sono io. Io che non ho interesse a scavarvi dentro, che non sopporto il flusso di coscienza, che ai moti interiori prediligo la trama, che leggo per disfarmi della miseria umana e non per annegarci. Scusatemi, voi tre, teste coronate di una letteratura che mi addormenta. Spero che le cose cambino col tempo, che i miei gusti si affinino, che la mia mente si faccia acuta e permeabile, spero un giorno di aprire un vostro libro per poter scandagliare con gli occhi a capocchia di spillo le vostre parole, e trarne piacere.
Per adesso, mi spiace, credo sia il caso di non vederci più.

Classici americani. Oh, i classici americani. Hemingway, London, Steinbeck. Voi tre. Curioso che vi tiri in ballo, perché ho letto un libro di London e uno di Steinbeck, e sarebbe assurdo negare che dopotutto li ho grandemente graditi. Eppure c'è qualcosa che mi respinge. Quel senso di affaticamento, di scoramento, la perdita della speranza, l'assenza di prospettive. La sconfitta, ecco, il senso di sconfitta che traspira dalle pagine. Il “non c'è nient'altro”. Forse viene dalla Grande Depressione, ma proprio non riesco ad approcciarmi a quei libri che, lo so benissimo, meritano di essere letti. Spero di riuscirci, in futuro, lo spero davvero.

Quei temi di cui non riesco a leggere perché fanno di me frattaglia piangente. Non sono molti, ma davvero mi respingono. La seconda guerra mondiale, in particolare il tema dell'Olocausto. La schiavitù dei neri in America. Qualsiasi libro che abbia a che fare con una gravissima emarginazione, con la repressione violenta, con razzismo e omofobia, mi inaridisce dentro. Il che mi è assai problematico, perché vorrei davvero leggere Manituana dei Wu Ming, solo che parla dei nativi americani, e io conosco bene la storia dei nativi americani, abbastanza per sapere che la lettura mi farebbe un male tremendo. Dilemma, tremendo dilemma.

E poi? Non mi viene in mente nient'altro, ma direi che questi punti possono ben bastare. Spero di leggere confessioni parimenti esplicite e letterariamente invalidanti nei commenti. Chessò, qualcuno che ammette di non riuscire a leggere scrittori francesi perché gli ricordano con disgusto di baguette sotto l'ascella.

*Sono a conoscenza del fatto che il termine "libroso" abbia tutto un altro significato. Ebbene, ho coscientemente deciso di infischiarmene, perché mi piace di più usato in questo modo. La semantica non è statica, se ne farà una ragione.