Successo e sòle

Sono a un centinaio di pagine dalla fine di Storia del nuovo cognome di Elena Ferrante. Del primo libro della quadrilogia, L'amica geniale, avevo parlato qui e con toni veementemente entusiastici. Perché quando un libro è bello, non ha senso stare a piluccare sui commenti. Più che scrivere una vera e propria recensione, mi viene da spalancare le finestre e urlare che quello che sto leggendo è meraviglioso e potrebbe scoperchiarvi gli occhi.
E dunque, chiacchierando di Elena Ferrante, nella vita reale e sui vari social network, non si contano le storture di naso, l'arricciamento di labbra, l'irrigidirsi di mascelle. Che va bene, è pubblicato da e/o che è una bella casa editrice indipendente di quelle toste, ma ha pur sempre avuto successo, soprattutto negli USA. Sarà mica una sòla?
E giust'appunto, questo è un post... non direi polemico, perché non voglio fare polemica. Curiosamente. È che mi andava di scrivere in difesa di tutti quei libri che ho trovato stupendi miracoli di carta, meritevoli di tutto il successo del mondo, e che proprio in nome di quel successo sono stati accostati alla più turpe produzione sterco-commerciale d'Italia.
Non vado sulla letteratura di genere che sennò non ne usciamo più. Non andrò in difesa di Harry Potter o di Hunger Games o delle Cronache del ghiaccio e del fuoco. I proiettili lanciati a queste serie sono duplici: fuffa per il successo, fuffa per il genere. Lì sì che diventerebbe un post polemico. E mi sono alzata così di buon umore, stamattina...
Parto da Niccolò Ammaniti, di cui ho gradito la quasi totalità della bibliografia, soprattutto Che la festa cominci, e della cui antipatia ho parlato qui millenni fa. Non che sia antipatico lui, parlo dell'antipatia che chissà come è riuscito a ricamarsi attorno. O forse gliel'hanno sputata a mo' di scendiletto circolare dopo che sono usciti ben due film tratti dai suoi romanzi. Io non ho paura che sì, ok, non è male come libro. Come Dio comanda, però, è un romanzo fantastico e infame, gli appigli per disseccarlo sono flebili. Ammaniti, che spero torni presto a pubblicare, è un caso emblematico del “sono certo che fai schifo perché guarda quanto cristo vendi”.
Tra le new entry della categoria non può certo mancare Haruki Murakami. Quello che avrebbe anche senso se riuscisse a beccarsi un bel Nobel, anche se non è proprio il primo nome che mi viene in mente. Quello i cui libri sciabordano nella testa dei lettori, quello che ondeggia tra onirico e reale, che rifiuta il dilemma del possibile e ti lancia in un mondo che, se riesci a seguirlo, te ne frega assai pure a te se ha davvero senso. Quel tipo lì, quello di 1Q84.
Autore di uno dei miei libri preferiti in assoluto, L'ombra del vento, che con tutte quelle pile altissime sparse in ogni angolo di qualsiasi micrognosa libreria osassi entrare, mi aveva fatto storcere il naso e inaridire le budella. Carlos Ruiz Zafòn. Ha scritto libri meravigliosi, alcuni un po' ripetitivi, altri che lasciano con un senso di spaesato “che diavolo...?” ma che bellissimi rimangono. Che però con tutte le copie che ha venduto, non scherziamo, sicuramente merita di finire esiliato nei reminder.
La Tamaro! Madonna, quanto odio intorno alla Tamaro. Non sono una grande fan, ma c'è stato un periodo in cui ero bloccata in casa con una scelta piuttosto limitata di titoli, e mi sono sciroppata un sacco dei suoi libri in un paio di giorni. Onestamente? Niente capolavori, ma non è neanche malaccio. Anzi. Un paio di racconti mi sono rimasti particolarmente vividi. D'altronde, se la sua scrittura fosse stata più lieve e le sue trame fresche e movimentate... beh, niente, sarebbe cambiata la natura delle critiche, ma non la quantità delle stesse. Mi ci gioco il cappello.
La Millennium Trilogy di Stieg Larsson, che ho divorato con ardore grazie all'amica ugualmente intrippata che me l'ha prestata. Rimpiango orrendamente la morte dell'autore, chissà quante altre meraviglie avrebbe potuto offrirci. E invece viene accusato così indegnamente di sòla.
Ce ne sarebbero altri, tanti altri, di scrittori che vengono accusati di scrivere inezie per via del loro successo. E no, non si tratta di gusti personali, perché quelli valgono per quanto si è letto. Qui si tratta di un disprezzo acquisito meno che per sentito dire, o forse per il troppo sentito dire.
Non che sia difficile risalire alla fonte del pregiudizio verso gli autori di successo. Ci sono case editrici che innalzano i propri autori migliori al di sopra delle folle di lettori, altre che cercano di catturare le folle di quasi-lettori o ogni-tanto-lettori sparando fuori libri genericamente piacevoli. Letture innocue, che piacciono un po' a tutti perché non fanno male a nessuno. Libri a intensità ridotta, che strappano giusto qualche ora. Ci sono anche – e soprattutto – case editrici che tengono d'occhio entrambe le tipologie di avventori, e cercano di accontentare l'uno e l'altro, porgendo entrambi i libri ai lati diversi del bancone. È palese, però, che in visibilità vince di solito il libro sòla. Ma questo non vuol dire che ogni scrittore di successo debba diventare per logica un fabbricante di sòle.
Ma poi non è neanche detto che, a voler pensar bene, l'allergia allo scrittore di successo venga dal vedere il successo associato alla sòla. Leggo sempre più spesso commenti su quanto autori come Jane Austen o le sorelle Bronte non meritassero metà del successo che hanno avuto. E Roth, McEwan, Zerocalcare, Benni, QualsivogliaAutoreFamoso? Sòle, sòle, sòle. E questo non capisco bene cosa sia, se una forma virale di invidia o la semplice voglia di dare addosso a qualcosa di bello.
E dunque, invito infine chi ha pregiudizi per gli scrittori che ho citato a dar loro una possibilità, e già che ci sono vi invito a lasciarmi nei commenti qualche consiglio, su qualche scrittore di successo che magari ho tralasciato per la stessa logica che qui condanno. Che sono tristemente certa che qualche colpa me la tengo ancora ben stretta.