Q dei Luther Blissett

Q. Dei Luther Blissett, che poi sarebbero un po' Wu Ming e un po' no. Einaudi, 1999.
È un libro cui ho girato intorno per un sacco di tempo senza mai decidermi a prenderlo in mano. Anni fa ho soppesato per un po' la copia di un'amica, che all'epoca mi disse che non faceva per me, che non mi sarebbe piaciuto. Lì per lì le ho dato retta, e forse lì per lì aveva anche ragione. Sono contenta di averli conosciuti adesso, i Wu Ming, prima con L'armata dei sonnambuli, ora con la loro prima opera, Q. Un libro che racconta una storia che già avrei dovuto conoscere, e di cui invece sapevo poco e nulla, per sommi capi.
Inizia dalla fine, questo libro, col protagonista e narratore dai tanti nomi che rievoca i suoi morti, i suoi fallimenti, butta giù un abbozzo dei fatti storici che hanno portato fino al punto in cui tutto si è messo in moto, fino a Lutero che affigge le sue novantacinque tesi a Wittenberg, il 31 ottobre 1517.
E poi arrivano le lettere che Q scriveva per Carafa, membro della consulta teologica. Q spia per suo mandato gli accadimenti di Wittenberg, e poi di tutto ciò che segue. Consiglia, trama per distruggere. È mellifluo e astuto come una serpe.
Il protagonista racconta di Wittenberg, di Thomas Muntzer, della delusione per un Lutero che ha fermato la riforma fin dove poteva fargli comodo, fin dove poteva dargli potere senza che qualcun altro venisse a strapparglielo dalle mani. Una strana, stranissima forma di pensiero per i miei occhi atei, quella di un'idea di Dio che può cambiare il mondo a seconda di come si decide di servirlo. Il protagonista segue Muntzer in giro per i villaggi, a predicare di un cristianesimo libero da intermediari, di un sistema di classi che sia davvero cristiano. Omnia sunt communia, tutto è di tutti.
Muntzer fallisce, ma questo non è un malvagio spoiler da parte mia. È il libro che è costruito in questo modo: parte dal fallimento, e poi racconta di come ci si è arrivati. A volte tramite gli occhi del protagonista, dai ricordi che gli vengono soffiati da una lettera, o dalle confidenze che gli strappa un amico.
È un viaggio nel tempo, tra le rivolte, una certa idea di Dio a fare da collante. Un lungo viaggio che attraversa l'Europa, la chiesa, i decenni. Il protagonista è un ragazzino, all'inizio, uno studente fattosi profeta tremolante e fuggitivo, ma vira verso i sessant'anni alla fine del libro, ferito e coriaceo.
E dunque, questo libro l'ho adorato. Per un sacco di motivi. Q c'è e non c'è. Ci sono lunghi pezzi in cui quasi te ne dimentichi, perché è il protagonista a non pensarci. E la cosa curiosa è che la narrazione non punta decisamente a lui e al suo volto coperto, non è chiaro se ti svelerà la sua identità prima della fine.
Q attraversa la storia immergendoti in un contesto ricco di date, accadimenti, personaggi dimenticati ma che all'epoca hanno significato qualcosa, hanno cambiato tutto. I predicatori anabattisti, i librai, gli stampatori, quelli che hanno aperto uno strappo nella chiesa. Ed è così pieno che te lo senti intorno.
Q è un libro storico che parla del basso. Come L'armata dei sonnambuli, dopotutto. Non racconta di Lutero alla corte di Federico III, o di Carafa, o dei nobili che schiacciano, che vengono scacciati, che tornano come una marea imbellettata. Q è fatto di contadini e predicatori cenciosi, di battesimi in pozze di fango, di guerriglia povera, di prostitute e attori. Così tanti personaggi, così tanti posti.
A Munster ci sono stata, anni fa, a trovare mia sorella, che ora si è trasferita a Berlino. Mi ha indicato le gabbie sulla chiesa di San Lamberto, raccontandomele in poche parole. Sapevo di Munster prima di leggere Q, ma non sapevo di Munster, ecco. Mi chiedo se lo sappiano gli stessi tedeschi.
Inutile starmi a lambiccare ulteriormente. Q è un libro pregno, denso, con una scrittura bella e ricca. Anche se il termine “ricca” mi fa storcere il naso in questo contesto, diciamo “sostanziosa” che fa più proletario, va'. Lo consiglio? Non è chiaro. Perché c'è chi l'ha trovato pesante. Non io, certo. Ma mi pare di capire che i Wu Ming non siano per tutti. Comunque per me è un capolavoro, questo posso dirlo senza sbavature.
(E mi permetto di vantarmi: che questo libro mi è stato regalato da amici provvisto di amorevole dedica, e sono certa di avere la copia più piena di cuoricini di tutta Italia.)