Scribacchiolando #5 - Consigli di Scrittura

Ah, gli esami che incombono. Quale piacevole routine mi attende d'ora innanzi, fatta di studio e pause studio.
È un po' che non scrivo qui, il che mi disturba. Anche perché, realisticamente, dubito che sia questo il momento in cui ricomincerò a postare con una certa regolarità. Ma via, va bene così. Peccato che io abbia un sacco di libri di cui chiacchierare. Crune d'aghi per cammelli di Maria Silvia Avanzato, Stabat Mater di Tiziano Scarpa, Les Italiens di Enrico Pandiani e perfino La casa della gioia di Edith Warthon, che ho finito di leggere eoni fa e adorato visceralmente.
Ma dovranno aspettare, perché è quello che succede alle recensioni quando inizia a saltellarmi in testa un qualsiasi altro argomento libroso, anche quando non è interessante, né originale, né innovativo, né trattato in maniera approfondita. Proprio come in questo caso.
Ho sempre pensato che avrei fatto della scrittura il mio mestiere, un giorno. Almeno credo. In realtà non riesco a recuperare il momento in cui ho iniziato a concepire la possibilità di vedere pubblicati i miei scritti, un giorno mooolto lontano. Ho sempre scribacchiato, fin dalle elementari, quando mi toccava legare insieme dei fogli con lo spago ed essere certa di avere sempre delle penne nere sottomano, perché non volevo usare altro colore che quello che vedevo stampato sui libri veri. Tra l'altro, per quanto la cosa mi irriti, devo pure ammettere che un tempo scrivevo molto meglio ed estremamente molto di più di quanto non faccia ora.
Mi veniva facile, prima. Non appena c'era il computer libero – un unico pc in casa, e solo verso la fine delle superiori uno da dividere soltanto con mia sorella. Che comunque ci stava un fracco pure lei, litigavamo ogni giorno per l'usufrutto della tastiera – mi ci fiondavo e iniziavo a scrivere. Anche quando non avevo una storia in mente e nemmeno un personaggio, davanti al foglio bianco iniziavo a descrivere brevemente il luogo, annunciavo in che periodo dell'anno ci si trovava, e poi piazzavo lì in mezzo un personaggio. Inutile dire che ben di rado ho finito quello che avevo iniziato, anche se al momento la cosa dipende più dai costanti cambiamenti che dalla mancanza di progettazione.
Ad ogni modo – che se continuo così 'sto post rischia di trasformarsi in una pappardella in cui me la canto e me la suono – scrivevo un sacco, proprio perché lo facevo senza pensarci troppo.
Poi è arrivato Internet. O meglio, il mio rapporto con la rete si è evoluto e si è mescolato col rapporto che ho coi libri. Ed è così che, a decenni di distanza dalla mia prima cartella sul desktop denominata 'Storie di Erica', sono arrivati i Consigli di Scrittura. Un po' arrivano dalle interviste, certi da articoli dedicati, altri da manuali sull'argomento, tipo questo o questo. E da qualche tempo seguo – e ritwitto un sacco – Advice to Writers, che riporta come è ovvio che sia i numerosi consigli di numerosissimi scrittori. E, come dire, è un po' la fiera della contraddizione. Comincio a pensare che la sovrabbondanza di suggerimenti sia più una dannazione che un effettivo aiuto.
Pareri discordanti ovunque. Miracolo trovare due scrittori che la pensano allo stesso modo, o che si affidano alla stessa routine. Il consiglio che pare andare per la maggiore è quello che impone di piazzare il culo sulla sedia e scrivere, questo pare abbastanza condiviso. Ma perfino questa che dovrebbe essere una regola basilare trova i suoi detrattori, secondo i quali scrivere non può essere una forzatura, e se proprio non si riesce ad andare avanti bisogna prendere una pausa che deve essere lunga quanto necessario.
E poi?
Poi stacca Internet, stacca il telefono, dimentica la famiglia e gli amici. Vivi da recluso.
Ma no, per scrivere bisogna vivere la propria vita e quindi immergersi in quella degli altri, conoscere nuove persone, ampliare i propri orizzonti.
E bisogna scrivere di quello che si ama e si conosce, ma 'i libri brutti sono quelli che trattano di ciò che l'autore conosceva già', denota Carlos Fuentes.
Dialoghi, dialoghi, dialoghi. Wodehouse consiglia di arrivarci il prima possibile, ma allo stesso tempo è necessario essere certi che il lettore abbia ben chiaro tutto il resto. Non c'è bisogno di descrivere granché, se la storia ha luogo, putiamo caso, nella Roma odierna, ma dovesse trattarsi di un fantasy? Di un romanzo di fantascienza?
Cercare pareri, sempre. Da amici, familiari, professionisti. Ma anche non cercare consigli da amici e familiari, perché ti sono troppo vicini per essere oggettivi, e poi non è detto che capiscano qualcosa di scrittura. E mai accettare pareri da altri scrittori, perché tenteranno di infilarsi nel tuo libro. Cosa che tra parentesi rischio spesso di fare, quando un'amica mi parla dei fumetti che sta progettando. Mea culpa.
Non scrivere e non progettare nulla di nuovo, finché non hai messo la parola fine alla storia cui ti stai dedicando adesso. Ma no, non rischiare di arenare il flusso creativo, abbi la forza di mettere da parte qualcosa che è ormai fermo e inizia qualcos'altro che magari scorrerà più facilmente.
Devi leggere moltissimo, in ogni momento libero. E devi prendere il meglio di quello che leggi e farlo tuo. Ma guai se lasci che questo ti cancelli da ciò che scrivi.
Show, don't tell, chi se lo dimentica? La regola delle regole, falciatrice di descrizioni. Ma se uno è bravo a scriverle? E se l'ambientazione è particolarmente bizzarra e interessante e necessita di essere spiegata? Che si fotta lo show, don't tell, dicono altri. Ora è tutto molto più chiaro.
Progetta e pianifica prima di metterti alla tastiera, ma! Fallo prima che si esaurisca l'entusiasmo per la nuova storia.
E attenzione a non identificarvi troppo coi vostri personaggi (a questo proposito ho letto ieri questo post, se vi va di dare un'occhiata) ma che ognuno di quei personaggi abbia dentro un po' di voi, altrimenti addio empatia.
Rendersi comprensibili, prima di tutto, dice Anthony Hope Hawkins, a meno che non si sia dei geni. Ma nooo, nel contempo non si può rischiare che le altrui aspettative infrangano il nostro stile personale.
Scrivi per te stesso.
Ma no, scrivi per il lettore.
Anzi, scrivi la storia che vorresti leggere.
Via avverbi e aggettivi, subito!
Ma no, una certa quantità è necessaria.
E... non so.
Il succo del discorso, se mai ci fosse stato bisogno di qualcuno che lo additasse con veemenza, è che ognuno ha i suoi metodi, la sua routine, la sua idea di scrittura, i suoi trucchi, e non ha senso lasciarsi ossessionare dai metodi altrui. Si finisce soltanto col perdere tempo.
Non che non esistano gli errori, o metodi poco funzionali. Non sto dicendo che i consigli siano inutili o che non vadano mai seguiti, anzi. Ma ammetto che per un certo periodo mi sono lasciata quasi ossessionare da quegli stessi consigli, che non riuscivo a mettere insieme due frasi senza chiedermi se non stessi 'raccontando troppo', se la descrizione non fosse ridondante o eccessiva, se non fossi troppo o troppo poco comprensibile. Se ci fosse troppa me in quel personaggio, se l'azione non fosse misera commisurata al tema... e questa confusa immobilità spicca contrapposta a quel lontano periodo in cui era un'impresa staccarmi dalla tastiera su cui scrivevo – e abbandonavo – decine e decine di storie.
Stare comodi nei propri metodi è importante, secondo me, abbastanza da cancellare tutto il resto.
E quindi, in definitiva, questo mio post aggiunge qualcosa ad un argomento che è a malapena un argomento? No, certo che no, ma mi andava di chiacchierarne. Il che effettivamente riassume quello che penso della scrittura.