Le correzioni di Jonathan Franzen (GDL Scratch-Made)

Quale connubio migliore di una tremenda sessione estiva e un caldo repellente, per scrivere la recensione di un libro così intenso e urticante?
Ovviamente facevo della salace ironia.
Dunque, Le correzioni di Jonathan Franzen, edito da Einaudi nel lontano 2002 in un'ottima traduzione di Silvia Pareschi. Franzen è uno di quegli autori di cui senti parlare spesso, sui quali non mancano mai articoli e interviste e che mi viene spontaneo associare, chessò, a Paul Auster e a Philip Roth. I mostri sacri della narrativa americana contemporanea, ecco. Franzen, però, ancora non l'avevo preso in mano ed è probabile che avrei continuato a ignorarlo per un po', se non fosse che è stato proposto per il gruppo di lettura indetto dal blog Start from Scratch (che se non lo conoscete, santoddio, rimediate), cosa per cui non nego di sentire una certa gratitudine. Ho adorato Le correzioni. Tanto, nonostante partissi da aspettative altissime. E devo dire che, anche se in diversi hanno lamentato una certa lentezza per quanto riguarda certi capitoli, personalmente non l'ho mai trovato pesante o noioso, anzi, la storia mi è filata sotto gli occhi facendomi bruciare le tappe del gruppo di lettura, e poi facendomele recuperare in un lampo nonostante abbia dovuto abbandonare il libro diverse volte causa spostamenti.
Non è fantastico come io riesca a riempire interi capoversi senza dire praticamente nulla? Un dono, proprio.
Le correzioni è la storia di una famiglia disfunzionale in modo molto americano. Ci sono i due genitori anziani, Alfred, che sta diventando sempre più debole e incapace di prendersi cura di se stesso, che scivola poco a poco verso il baratro. E poi c'è Enid, fragile, insicura, legata a una concezione anni '50 di decoro, rispettabilità e famiglia. Alfred è l'ombra di quello che era, un uomo dispotico, freddo, avaro di affetto. È così che lo ricordano i figli, per i quali lo svelamento – che avviene poco a poco nel corso del libro – della sua crescente fragilità è vissuto tra negazione, confusione e goffi tentativi di rimedio.
Ma, dicevo, Alfred e Enid sono solo una frazione della storia. Ci sono Chip, Gary e Denise. Il primo si trova nel mezzo del punto più basso che può raggiungere la vita di un uomo. Cacciato dall'università in cui insegnava per una relazione con una studentessa, incapace di parlarne ai genitori, in debito per migliaia di dollari con la sorella, confuso, rabbioso e debole. Orrendamente debole.
Poi c'è Gary, con la sua famiglia la cui pretesa di perfezione impiega meno di una manciata di pagine a sfaldarsi. È forse il personaggio che ho apprezzato meno, anche se ho trovato meraviglioso il modo di raccontarlo. Il perché lo specificherò più avanti.
E Denise, famosa e super-pagata e rivoluzionaria chef. Così forte e intraprendente e sicura, sempre a testa alta, sempre perfetta.
Neanche a dirlo, Denise l'ho adorata.
E dunque, questi sono i personaggi e a ognuno di loro è dedicato un capitolo, che li dipinge con violente pennellate d'infanzia e passato, che esemplificano cosa li ha resi le persone che sono adesso, nel presente del libro. E soprattutto racconta perfettamente i rapporti che sussistono tra loro. L'attaccamento di Gary alla madre, quella distanza che Chip si sforza di mettere tra sé e i familiari, la dolcezza che Denise trova solo per il padre.
Prima dicevo di aver trovato meraviglioso il modo in cui Franzen ha dipinto Gary. Ecco, è una cosa che vale un po' per tutti i personaggi, ma che con lui si ripete di volta in volta. Il ribaltamento della prospettiva. Inizi a leggere il capitolo dedicato al personaggio, ti fai un'idea su di lui e sulla sua situazione, ti appropri dei suoi occhi e del suo punto di vista. Poi passano le pagine e ti accorgi che, anche se gli occhi continuano a essere i suoi, il tuo punto di vista è cambiato, e l'idea che ti sei fatto è completamente diversa. E poi succede ancora, e ancora, e ancora. Avanti e indietro, finché non rimani nell'incertezza e rinunci a capire chi abbia ragione e chi torto nel descrivere l'ecosistema familiare.
Dunque.
Inutile dire che consiglio questo libro. Certo, che lo consiglio. Ovvio, che lo consiglio. È uno degli Imprescindibili per un sacco di motivi, dal modo di raccontare la vecchiaia, al trattamento dei rimorsi, agli screzi familiari, alle ferite che si allargano, alle scoperte tardive. È un libro da leggere.

Punto.