Scrittrici e Pseudonimi #8Marzo


Beh, buongiorno. Immagino sappiate che oggi è la Giornata Internazionale della Donna. Quante belle cose da festeggiare. Proprio tante. Siam qui che pulluliamo di liete novelle e cambiamenti epocali, che non inizio a contarli perché poi non saprei come fermarmi in mezzo a tutto 'sto entusiasmo.
A voler essere sinceri il tema per questo post mi è venuto in mente poche ore fa, mentre ero ancora avvoltolata nel piumone in stile burrito. Avrei voluto pensarci un po' prima, metterlo bene a punto, ampliarlo e rivederlo, ma l'asfissiante nebbia di febbre che mi ha incasinato le sinapsi per una settimana mi ha abbandonato soltanto ieri. E neanche tutto il giorno.
Dunque, Scrittrici e Pseudonimi.
Iniziamo da Jane Austen, che mi pare sempre e comunque un ottimo punto di partenza. Zia Jane era solita firmarsi 'A Lady', oppure 'Autrice di Orgoglio e Pregiudizio'. Mi va di specificare che l'adorata Jane non ha mai sofferto per mancanza di supporto familiare: genitori, fratelli e sorelle non le hanno mai fatto mancare il loro appoggio e la loro stima, per quanto concerne la sua attività di scrittrice. Il padre è stato il primo a tentare – fallendo – l'approccio con un editore, il secondo il fratello. Al quale dobbiamo tanti ringraziamenti, visto che è riuscito nell'intento.
George Eliot è un caso emblematico, visto che continuiamo ancora a chiamarla col suo pseudonimo nonostante sappiamo che il suo vero nome era Mary Ann Evans. Tuttavia la sua vera identità era nota al pubblico e, nonostante all'epoca le scrittrici di professione fossero piuttosto rare, non si può dire che fossero anche malviste, soprattutto se di estrazione sociale alta come la Evans. Lo pseudonimo, in questo caso, è stato soprattutto un vezzo.
Le sorelle Bronte per anni si sono spacciate per i fratelli Bell. Dietro Currel, Ellis e Acton, si celavano Charlotte, Emily ed Anne. Nel 1850, dopo la morte delle sorelle, è Charlotte a svelare la realtà dietro gli pseudonimi, motivando la scelta col timore di possibili pregiudizi del pubblico verso autrici donne.
Decenni prima, nel 1818, le prime edizioni di Frankenstein di Mary Shelley vengono pubblicate in forma anonima. Non si tratta esattamente di uno pseudonimo, ma neanche di un nome.
A fare uso di un nome fittizio è stata anche Louisa May Alcott, che aveva firmato il suo Piccole Donne e seguiti con A. M. Barnard. Mi verrebbe anche da chiedermi chi mai abbia potuto cascarci, ma facciamo finta di nulla.
Anche Elizabeth Gaskell, autrice di Nord e Sud, scelse di pubblicare sotto un nome maschile, Cotton Mather Mills.
E con un discreto salto in avanti, c'è J. K. Rowling, che ancora nel 1997 ha nascosto il proprio genere dietro due larghe lettere puntate. Nel '97.
Ora, se per alcune delle scrittrici cui ho fatto cenno si è trattato di vezzo giocoso, non credo si possa dire lo stesso dell'epoca moderna. Il pregiudizio c'è, ma non è tanto nel mondo editoriale, quanto radicato nei meccanismi di scelta dei lettori. Dopo mesi in biblioteca e in libreria, posso dire che i bambini maschi non scelgono libri con bambine come protagonisti. Non si tratta di una scelta consapevole, ma diventerà tale. Un giorno si appoggeranno al bancone col gomito, si daranno una rassettata al naso strizzandolo tra il pollice e l'indice piegato e si lasceranno andare a riflessioni dal tono pomposo su come uomini e donne scrivano diversamente, su come una donna sia meno incisiva, troppo sensibile, per nulla avvezza alla violenza e via dicendo. Lo dirà dopo aver preso letto un'emerita boiata, qualcosa come 'A letto col mio capo', uno squallido volume di una squallida collana che definire rosa sarebbe volerla stingere.
Non voglio suonare amara, questo post era cominciato bene. Era cominciato con Jane Austen, che è anche un ottimo punto di chiusura. Jane che si firmava con 'A Lady' per ragioni di decoro personale, e pur essendo donna era ben più che apprezzata, anche dal sovrano Re George IV, al quale dedicò Emma.
Intendiamoci, non sto dicendo che all'epoca non ci fossero pregiudizi, né ne sto cantando l'elogio funebre in anticipo. Viviamo ancora in un brutto, brutto mondo. Però il mondo dei Libri, da qualsiasi parte lo si guardi, ha sempre fornito una via di fuga, un'isola felice, perché chi legge è già salvo. E per 'salvo' intendo dire 'vaccinato contro l'idiozia'. E il pregiudizio è la forma massima di idiozia.
Ora, la realtà è che viviamo in un mondo storto, ma è anche vero che è un mondo facilissimo da raddrizzare con una cosa chiamata 'educazione'. 'Cultura', se proprio vogliamo. Basta poco. Se ogni maestra elementare, se ogni bibliotecaria, se ogni zia-zio-fratello-sorella-parente regalasse un libro di Bianca Pitzorno o di Margaret Mahy ai bambini, il passo più lungo sarebbe già fatto. Ci vorrà un po' per raccogliere i frutti, ma il seme sarebbe piantato. Ai bambini frega assai, è a lasciarli affondare nella sozzura che si rovinano.