Piccoli scorci di libri, ovvero recensioni assai brevi e poco impegnative #26

Sta arrivando l'autunno e io gioisco. Aprire la finestra al mattino, affacciarsi e rimanere estasiati al profumo di pioggia che deve ancora cadere, e quella luce da foto in bianco e nero... no, dai, mi spiace per i seguaci dell'estate, ma io adoro l'autunno.

Risorse disumane di Marina Morpurgo – Astoria 2012

Ultimo libro di Marina Morpurgo, di cui già avevo allegramente ciacolato qui per La scrittrice criminale. Quasi la stessa voce, divertita, ironica, colloquiale. Pare che chiacchieri coi lettori, magari al bar, lamentandosi della condizione attuale. Una giornalista licenziata, le sue giornate a casa, il rapporto coi figli – l'inquietante bambina preterrorista e l'universitario economia&finanza a cui rifarei le chiappe a calci – e le colazioni di rito con due ex-colleghe, tutte vittime del Mercato.
Un libro italiano, estremamente italiano. Non che dalle altre parti sia tutto rose e fiori, ma umiliazioni e mutilazioni lavorative di questo genere credo siano una nostra peculiarità, figlie delle leggi massacra-lavoratori del primi anni 2000. Una lettura breve, poco più di un centinaio di pagine di risate storte e stomaco irritato. Gli occhi sulla situazione della protagonista e la sua ossessione per i suoi ex-datori di lavoro.
Neanche a dirlo, lo consiglio. È un po' amaro, ma anche divertente. E il finale è una cosa lollosissima.
Però c'è un però. Una critica che mi sento di muovere, anche se non è esattamente sul Risorse disumane come libro a sé stante. Il fatto è che l'idea di fondo è geniale. E originale. E avrebbe potuto dare vita a qualcosa di più articolato, complesso, sempre con lo stesso tono magari, però... però 'di più'. Non so se sono riuscita a spiegarmi, però credo che se Marina avesse deciso di lavorare un po' di più su questo suo terzo parto, forse ne sarebbe potuto uscire qualcosa di assoluto e imprescindibile.
Ma trattasi di lamentele mie, più per il potenziale che per l'attuale. Intanto, io vi consiglio quello che è.

La pioggia prima che cada di Jonathan Coe – traduzione di Delfina Vezzoli – Feltrinelli, 2007

Nella mia edizione economica meravigliosamente autografata. Sì, me ne sto bullando.
Ora, questa lettura per me è stata divisa in due parti. La prima, devo ammetterlo, non l'ho gradita granché. Mi è sembrata statica, lenta, grigia. La seconda no, l'ho adorata. Forse perché avevo finalmente conosciuto i personaggi e sapevo di chi stava parlando Rosamund, seduta davanti alla radio con tutte quelle fotografie in mano. È un libro che comunque consiglio – di certo non come svago o intrattenimento – ma il divario tra le due parti lo segnalo lo stesso.
Gill riceve la notizia della morte di zia Rosamund. Deve occuparsi delle proprietà, del funerale, di tutto. Trova una busta indirizzata a Imogen, che ricorda di aver conosciuto decenni prima, una bambina cieca che si aggirava per la casa di Rosamund durante il suo cinquantesimo compleanno. La busta contiene delle cassette registrate, la richiesta di farle avere a Imogen e il permesso a Gill di ascoltarle in caso non fosse riuscita a trovare la destinataria.
E, non riuscendo a trovare Imogen, Gill le cassette le ascolta insieme alle sue figlie.
È la storia di Rosamund e, retrospettivamente, di quello che ha portato all'esistenza di Imogen. La stranissima amicizia tra Rosamund e Beatrix, nonna di Imogen. E poi la figlia di Beatrix, Thea. Decenni sintetizzati in poche cassette registrate, fatte di descrizioni di fotografie e ricordi correlati.
È un bel libro. Amaro, triste. Ma è una tristezza pacata, che faccio fatica a digerire. Manca di rabbia, di nerbo, di decisione. Eppure ce ne vorrebbero...

Beh, ribadisco, lo consiglio. Però un po' fa male.