Jonathan Coe al Festival della Mente - resoconto

Era un po' che non passavo la mattina in casa, in pigiama, libera di dormire come e quanto io voglia. Peccato che mi sia svegliata alle 8, ma via, va bene così. Più tempo da spendere in maniera produttiva. Più o meno.
Dunque, ho così tante cose di cui parlare che è difficile decidere da dove iniziare. Ci sono quel tot di libri letti, quella nemesi che mi aleggia nella testa, quel po' di libreria che vorrei riuscire a mostrarvi... ma dopotutto credo che l'incontro al Festival della Mente con Jonathan Coe abbia un po' di priorità, se non altro per ragioni di memoria. Che per quanto uno possa prendere appunti, col tempo qualcosa tende a perdersi e sfilacciarsi e mi piacerebbe riuscire a riportarvi un resoconto il più dettagliato possibile. Anche perché su Facebook ho sparso invidia nel mondo per settimane, annunciando l'appropinquarsi di Coe...
Allora, vediamo.
Il tendone era pieno. Zeppo. Quanti saranno stati, 200 posti? Qualcosa di più, mi sa. Tutti pieni fin da mezzora prima dell'inizio. I biglietti per l'incontro erano esauriti da settimane, io mi sono portata dietro il mio nel portafoglio per un mese. Il che potrebbe anche portarmi a tristi considerazioni sulla fame di cultura nel mio paesello – o nell'Italia tutta – ma facciamo che per oggi tralascio.
E dunque, sala pienissima, io mi tendevo in avanti sulla sedia, a lato del palco, nervosa. Non ho letto molto di Jonathan Coe e quanto ho letto mi ha fatto compagnia in anni lontani, quando ancora frequentavo le superiori. Eppure mi è rimasto piantato in testa. La voracità con cui divoro libri non sempre mi permette di digerirli, spesso finisco per dimenticare buona parte di ciò che ho letto e come ricordo mi restano soltanto un abbozzo e un'impressione. Con La banda dei brocchi di Coe no, invece. È stato un chiodo piantato a fondo nella mia testolina adolescenziale e di lì non si è mosso finora. Quindi ero lì che attendevo con impazienza.
Poi Coe è arrivato, con Massimo Cirri – autore Feltrinelli e intervistatore – e l'abilissima interprete.
Posso dirlo? Coe ha un aspetto buffo. Un po' per via dei capelli così candidi, simmetrici, precisi. E un po' per quel volto da signora gentile sul corpo da uomo. Non 'buffo' da deridere, ma quel lievemente bizzarro che spiazza per un attimo.
E poi parla british. Beh, giustamente. Però a me quella parlata dà una sensazione così familiare e potteriana...
Coe ha iniziato immortalando in una foto la platea gremita, per poter portare una prova incontrovertibile ai figli, che non gli credono quando racconta loro della gente che va a sentirlo. Malvagi.
Ha raccontato – dopo una domanda di Cirri sull'umorismo – di una sua intervista in Germania (''la patria dell'umorismo''...) di quelle imbarazzanti, piene di silenzi, durante la quale ha deciso di tirare fuori nozioni da una vecchia tesina dei tempi universitari, in cui riprendeva la tesi di Freud sull'economia della spesa psichica, secondo cui lo scoppio della risata consiste in un rilascio di energia risparmiata nell'accostamento di due termini che, senza la visione 'umoristica' ci sarebbe voluto più impegno per mettere insieme. Più o meno.
Poi l'intervistatore, colpito da tanta cultura, gli ha chiesto con un po' di stupore 'Ma se a lei interessa l'umorismo, perché non scrive libri divertenti?'. E Coe non ha ben saputo cosa rispondere, di fronte a una persona con un'idea di umorismo tanto diversa dalla sua.
Cirri ha fatto poi chiesto se, in questo mondo iper-globalizzato, sia ancora possibile parlare di peculiarità geografiche dell'umorismo e magari di parlarne dal suo punto di vista inglese. E Coe ha riflettuto un po' e poi ha risposto che 'There is such a thing like british humor'. Ha continuato dicendo che l'umorismo è un modo per affrontare il dolore e ha poi parlato di come gli inglesi siano abituati a soffrire quasi di nascosto. Gli inglesi soffrono per un sacco di cose, sono depressi ed emotivi – per quanto noi siamo liberi di non credergli – e l'ironia e l'under-statement (minimizzazione, più o meno) sono gli unici modi che hanno per liberare le profonde correnti di tristezza.
Ciacolando della repressione emotiva è arrivato a disquisire della letteratura, che secondo lui affronta le disfunzionalità emotive e sociali dell'ambiente che ci circonda. Se la società fosse perfetta, dice, se fosse giusta ed equa, se le prospettive fossero realmente paritarie, ecco, in quest'ambiente utopico che personalmente non riesco neanche a immaginarmi, non ci sarebbe bisogno di umorismo. Lolloso il fatto che lui abbia preso a esempio il Canada, come paese privo di umorismo. Però, ehi, il Canada ha dato vita a Deadpool.
Poi siamo passati al lato politico. Che credo sia un lato per noi italiani difficilmente tralasciabile. Forse siamo così abituati a vederci tolto il potere politico che non possiamo fare a meno di sublimare la sua mancanza discutendone ovunque ci si trovi riuniti. O forse è per darci un tono innanzi al forestiero, che sennò magari pensa che siamo tutti pasta-pizza. Fatto sta che Cirri ha chiesto commenti sulla decisione del governo inglese di non partecipare al possibile (probabile?) intervento militare in Siria.
Mi è piaciuto molto come ha risposto Coe. Sereno, compassato, serio. Ha raddrizzato la schiena, ha abbassato il tono di voce. Parlava lentamente, con una calma che a noi non compete.
Gli inglesi si sono resi conto delle menzogne che sono state loro raccontate nel 2003, perché si unissero al conflitto in Iraq. 'We'll never forgive Tony Blair. We'll never be fooled again'. E questa serietà dedicata alla politica si ricollega al modo in cui ci aveva sgridati poco prima, quando la platea scrosciava di applausi e risate al minimo accenno alla politica italiana. Non si dovrebbe ridere dei politici, diceva Coe. In questo modo pensano che vada tutto bene, non si preoccupano. Finché si riesce ancora a ridere possono andare avanti senza farsi domande.
'Our laughter doesn't affect them'.
Il che è vero. Forse. Beh, almeno mi è parso sensato. D'altronde toglici anche le risate e qui non so bene dove si finisca. Davvero.
Poi, beh, giustamente ha ciacolato anche del suo nuovo libro, Expo 58, che la Feltrinelli mi ha gentilmente inviato in ebook – Yay! - e che spero di iniziare presto, impegni permettendo. Ha parlato della fiera commerciale di Bruxelles del '58, a sua detta uno dei momenti più significativi che hanno portato alla nascita dell'UE. Per l'Inghilterra, il momento di prendere una seria posizione sulla propria identità nazionale, se con l'UE o con gli USA. Etc.
Dopodiché, il tempo era finito. Saluti e ringraziamenti, io sono riuscita a farmi fare l'autografo sulla copia appena acquistata di La pioggia prima che cada, per poi correre via, alla volta della libreria che stava per essere lietamente invasa da lettori in trasferta per il Festival.
E... beh, fine. Tutto qui. Mi è piaciuto un sacco, quell'incontro. Ho adorato Coe, la sua parlata british e il suo tono, serio e compassato anche mentre faceva battute.
Dunque, con un lieve sorriso colmo di rimpianto, vi saluto. A 'chissà quando'.

Via, vado a studiare.