Piccoli scorci di libri, ovvero recensioni assai brevi e poco impegnative #21


E dunque, dopo tanto tempo, eccomi di nuovo a parlare di libri. Che poi sarebbe il fine primo e ultimo di questo blog, ma lasciamo stare. D'altronde non è che mi potessi zittire su tutti gli accadimenti del Salone, no? Tra l'altro questi libri li ho presi proprio lì, entrambi gioiosamente scontati. Al momento sto invece leggendo Sinistri dei Tersite Rossi – che fino a poco fa ignoravo fossero due autori e non uno, infatti mi domandavo che razza di nome fosse – che mi sta piacendo un sacco, e che tuttavia sto leggendo a sprazzi perché mi alimenta dentro una rabbia cocente che devo spegnere ogni tot di pagine, con abbondanti dosi di canzoncine sceme, tra cui segnalo la cara vecchia 'Canzone della Felicità' della Melevisione. Che, mi rendo conto solo ora, si ricollega al Partito della Felicità che semina turpitudine per il già citato libro. La cosa si fa inquietante.

Ritratto di famiglia con superpoteri di Steven Amsterdam – traduzione di Anna Mioni – Isbn Edizioni, 2012

E questo è stato il mio secondo acquisto al Salone, agguantato subito dopo la corsa alla Jo March. Innanzitutto è diverso, molto diverso da quanto mi aspettassi. Non che sia stata una delusione, anzi, solo che mi ero figurata tutto un altro genere, nonostante le recensioni lette in precedenza.
Vediamo, un libro diviso in sette racconti, uno per ogni membro della famiglia. Ognuno è ambientato diversi anni dopo quello che lo precede, di modo che ci si possa fare un'idea di quello che sta accadendo un po' a tutti i personaggi. Ogni racconto ha al suo centro il momento in cui il protagonista di turno sviluppa il suo superpotere. Giordana che scopre di poter diventare invisibile, il fratello Ben che scopre di poter volare e così via. Ed è curioso il modo in cui lo accettano, quasi naturalmente, senza starsi a fare troppe domande o innalzare troppi problemi. Si chiedono come funziona o cosa possono farci, ma non sono divorati dal potere stesso. Non ci sono epifanie Marveliane o vedette sui palazzi in attesa di sentire un grido d'aiuto. Ci sono persone che vanno avanti con le loro vite, che sentono tirare i fili che li ricollegano agli altri membri della famiglia, che si chiedono che fine avrà fatto Alek.
Di più non posso dire, se non che lo consiglio un sacco.

Agatha Raisin e la quiche letale di M. C. Beaton – traduzione di Marina Morpurgo – Astoria, 2011

Ok, adesso mi vedrete andare in brodo di giuggiole. Perché io di questa protagonista e di quest'autrice mi sono seriamente innamorata. Una commedia inglese, così inglese che le pagine potrebbero sputare fuori pezzi di Regina e bustine di tè. Ironicissima, leggerissima, divertentissima. Si legge col sorriso, è proprio quella lettura che riscalda quando ce n'è bisogno. E io, in periodo d'esami, ne ho decisamente bisogno.
Dunque, la trama.
Agatha Raisin ha 50 anni, è una donna di successo, ha fondato la sua agenzia di PR, l'ha fatta fiorire e prosperare e poi, una volta raggiunto il proprio obiettivo, ovvero una certa ricchezza, ha deciso di venderla, per potersi permettere il sogno di una vita, ovvero una cascina in un paesino di campagna inglese, nei suoi ricordi da sempre collegato all'unico momento di felicità della sua infanzia.
Dunque, questa Agatha, dura come l'acciaio e acuta come un ago, decide di farsi accettare dalla chiusissima società di Carsely, vincendo un concorso di quiche. E io da qui non vi dico più niente, anche perché mi sa che ci pensa già il titolo.
Mi è piaciuto un sacco. Un sacco. Se la commedia inglese è il vostro genere, abbiatelo assolutamente.