Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti


E dunque, buonasera! Ultimamente mi sto assentando parecchio, contrariamente a quanto vorrei. Un po' per gli esami che si appropinquano inesorabili e un po' per cavolacci miei di cui spero di non sentire il bisogno di parlarvi almeno per un po'. Mano di vernice su queste belle giornatone e parliamo di Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti pubblicato da MinimumFax nel 2012 ed eletto Libro dell'anno da Fahrenheit.
Dunque. Tanto per cominciare è un titolo di cui ho sentito parlare così tanto, così spesso e così bene da farmi storcere il naso e salire le aspettative al tempo stesso. Non fosse della MinimumFax probabilmente me ne sarei tenuta alla larga.
Oh, giusto, da qualche giorno ho gli occhiali nuovi. Le lenti sono così spesse e potenti da avermi costretta ad una montatura grossa e nera, di plastica, da vera hipster. Quindi, beh, spero di riuscire a spurgare presto quest'orrido malanimo hipster che evidentemente infestava la montatura.
Torniamo al libro. Ammetto che sono partita con pretese assurde. E che si tratta indubbiamente di un bel libro. Scritto bene. Pensato e progettato bene. Belli i personaggi, così veri che li puoi quasi toccare. Però, ecco, non mi ha catturata come avrei sperato. Forse perché parla di 'vita vera che più vera non si può', con questi personaggi realistici a cui accadono cose realistiche e a cui, trovo, reagiscono in modo passivo, quasi piatto. Non piatta la narrazione, piatte le reazioni dei personaggi. Ma non perché sono raccontati male, proprio perché sono fatti così.
La trama, allora. La storia ruota attorno a Sofia. Tanti brevi racconti incentrati su una persona che in quel momento le è vicina, dalla zia Marta al padre Roberto, dalla coinquilina Caterina alla madre Rossana. Il tempo rimbalza incostante da un racconto all'altro, tutti in prima persona tranne l'ultimo, che forse è quello che ho preferito insieme a quello iniziale. Sofia è nata a fine/metà degli anni '70 a Milano, la madre è una casalinga frustrata e il padre un ingegnere all'Alfa Romeo. Sulle loro vite teoricamente e orrendamente normali c'è una cappa di tensione definita prima da Rossana e poi da Sofia stessa, la frustrazione che passa da madre in figlia.
Più ci ripenso e più mi ripeto che è un bel libro e che la motivazione più sincera che posso addurre al mio relativo gradimento è che Sofia mi sta sulle balle. Davvero. Non sopporto le Sofie. Le persone deboli che si sforzano di sentirsi speciali. Quelli che hanno bisogno di sentirsi protagonisti e 'fanculo al resto dell'umanità. Quelli che sembra ti facciano un regalo con la loro presenza, no? Non so se avete conosciuto gente così. Io sì.
Li libererei da tutti i loro patemi pseudo-artistoidi a ceffoni.
Dicevo, è evidente che questo libro non è 'mio'. D'altronde non riesco neanche a capire se la cosa dipenda dall'eccessivo realismo della storia che racconta che non rispecchia i miei gusti o dal fatto che l'ho letto con un filtro di 'roba mia' sugli occhi.
Perciò che dire, dopo tutta questa pappardellata d'indegno nulla? Se vi piace il genere, è davvero un bel libro. E se non vi stanno sulle scatole le Sofie, ancora meglio.