L'errore di Glover di Nick Laird (breve) e fuggevoli vagheggiamenti su Georgette Heyer


Ammantata di polvere e peli di gatto, realizzo con gioia frammista a orrore che domani la mia coinqui-amica tornerà dalla vacanza e che quindi è il caso che io metta ordine la casa, ove ho regnato per giorni e giorni col mio consueto casino. Sarà una lunga giornata.

L'errore di Glover di Nick Laird – traduzione di Federica Aceto – Mimimum Fax, 2010

Qualche mese fa mi era già capitato di recensire Nick Laird, con il suo La banda delle casse da morto, che mi era giustamente piaciuto un sacco. Questo nuovo libro, però, è scritto in modo diverso, più maturo. La trama è più semplice, ma anche più compatta, liscia, senza sbavature. Tra l'altro ammetto che mi ha fatto molto sorridere e molto riflettere, perché l'odioso protagonista, David, è un blogger. Un blogger che si fa chiamare Truce Re Censore – sarei curiosa di sapere come suona in inglese – che tiene la propria identità virtuale opportunamente nascosta, anche perché ne fa uso per lamentarsi un po' di tutto. Critica film, libri, arte. Il classico cinico acutone che poi di persona non osa dire 'bah'. Ammetto che questo aspetto mi ha fatto un po' pensare... voglio dire, mi sono chiesta se Laird avesse avuto un passato da blogger, o se ne avesse conosciuto da vicino uno particolarmente irritante, o se fosse invece andato bellamente a caso. Perché effettivamente, scoccia ammetterlo, però c'azzecca. Non si può negare che avere qualcuno che ti legge sia un bel tonico rinforzante per l'ego. E l'anonimato dietro lo schermo, beh, quello rischia di diventare un problema, se coadiuvato da un ego sfrenato, specie se questo segue a un'eccessiva insicurezza.
Coff.
Coda di paglia? Moi? Macché. Frottole e menzogne.
Dicevo, c'è questo protagonista, David, blogger-di-nascosto, insegnante di letteratura inglese, un po' sopra la trentina. Intelligente, ottimo osservatore. Per il resto nella media, o forse un po' sotto. Il suo amico e coinquilino, James Glover, ha ventitre anni, è un cattolico relativamente praticante e una brava persona. Un ragazzo aperto e gentile, di quelli che gli basta sorridere per scatenare sorrisi e calore in una stanza.
Capita che David riesca a stringere una vaga amicizia con Ruth Marks, celebre artista di quarantacinque anni cui David sente di dovere molto, perché è durante un suo seminario che ha deciso di abbandonare l'arte che, tutto sommato, non faceva per lui. David è innamorato perso di Ruth, a tratti pare che la idealizzi perfino, ma poi sembra rendersi conto delle sue debolezze, dei suoi tratti spigolosi, del suo egocentrismo, eppure continua a esserne ossessionato. Peccato per lui che la scintilla non scocchi tra lui e lei, ma tra lei e l'altro, e questo 'altro' è proprio il giovane e aitante Glover.
È un libro stronzo, perché David è stronzo e tutto è filtrato attraverso i suoi occhi, anche se la narrazione è in terza persona. Interessante il fatto che alcuni piccoli gesti ci vengano mostrati così come avvengono, e possiamo renderci conto della voragine tra il loro reale significato e l'interpretazione che ne dà David. È scritto bene, ben pensato e squallidamente realistico. Di più non posso dire, però... beh, lo consiglio.
E mi sento di consigliarlo soprattutto a chiunque abbia un blog, perché aiuta a tenere i piedi ben piantati per terra. È un buon freno all'ego, un'ottima ancora contro quell'infinito mare di possibilità di stronzaggine che è l'anonimo Internet. E non soltanto.

Brevi vagheggiamenti su Georgette Heyer

Concludo non con un'altra recensione breve, bensì con due – inutili – parole su un'autrice che ultimamente sto leggendo un sacco, ovvero Georgette Heyer. È prevalentemente una scrittrice di commedie incentrate sulla nobiltà inglese, che si fondano soprattutto su storie d'amore – eh, lo so. Lo so. Dovrò sciacquare via questa tremenda parola con ettolitri di Cannibal Corpse – alquanto zuccherose, eppure esilaranti. Ma veramente esilaranti. Georgette Heyer mi piace perché non si prende affatto sul serio. Scrive bene, ride dei suoi personaggi, la ricostruzione degli ambienti dell'epoca vittoriana è ottima, il suo entusiasmo traspare da ogni descrizione di abito, cavalcatura, acconciatura. Vorrei dedicarle un intero post, ma prima di farlo è il caso che io legga almeno l'80% dei suoi libri. Anche perché in 'La cugina Kate', orrendamente trasposto in italiano con 'Segnali d'amore' (SANTODDIOPERCHE') la cara Georgette si è dimostrata incredibilmente abile e duttile, sia nella costruzione di una trama ben più complicata del suo solito, che nella presentazione dei personaggi. Un'atmosfera uggiosa e una sensazione di pesante minaccia che mi hanno ricordato niente popò di men che Daphne du Maurier. E detto da me non è poco, che io Daphne la idolatro senza riserve.
Quindi beh, volevo giusto dire che in futuro scriverò un post tutto per lei. Così magari smetto di spammarla in giro come fossi la sua agente, ecco.
E nonostante le nuvole che si stanno addensando fuori dalla finestra e la non troppo entusiasmante prospettiva di una giornata passata a pulire la casa, buona giornata.