Un'antipatia che non mi spiego - Niccolò Ammaniti


Come da titolo, questa è una di quelle antipatie cui proprio non riesco a trovare un'origine. E di solito riesco a trovare una fonte plausibile per qualsiasi antipatia io mi trovi innanzi, legittima o meno. Cioè, capisco che possa giacere un po' sui testicoli un autore scadente, un pubblica-monnezza, oppure un tizio pesante e pedante che si esprime solo per capoversi di venti righe. Oppure un artistoide di difficile comprensione, specie se riservato. O peggio ancora, se fin troppo espansivo verso un mondo che non sa che farsene delle sue lunghe tirate. Però davvero, per Ammaniti non la capisco.
Niccolò Ammaniti scrive bene, costruisce con cura i suoi personaggi e dà una solida struttura alle proprie storie. Ed è uno scrittore italiano, ma non del tipo che pretende di moraleggiare, deprimerti e drammatizzare pure sul cracker secco abbandonato nella credenza, e nemmeno l'italiano che massì, alla fine tarallucci e vino e pure il vecchio stronzo più stronzo si rivela un giocondo caciarone. Non è molto carino da dire nei confronti degli scrittori italiani, ma al momento Ammaniti è uno dei pochissimi scrittori cui mi sento di dire 'Ok, pubblica all'estero. Vai e rendimi fiera'. Non ho ancora letto Fango e non ho particolarmente gradito Branchie, ma tutto il resto per me è meraviglia. Il modo in cui spazia tra toni e livelli di drammaticità, poi, non è affatto da tutti. Dal surrealismo di Branchie al freddo metallo di Io non ho paura, dal crudele e adolescenziale Ti prendo e ti porto via (che tra l'altro non volevo leggere finché non mi è stato prestato a forza perché mi ricordava una canzone di Vasco, che mi è sempre stato un po' sulla baguette) al tremendo e immane Come Dio comanda, fino al mio preferito, Che la festa cominci. Che oltre ad essere il mio preferito è pure quello che secondo me riassume al meglio la scrittura di Ammaniti. Scritto in modo chiaro, un'alternanza di eventi contorta ma comprensibile, una perfetta coralità e l'assurdo, il paradosso, il disturbante. Le risate e i brividi, ondate di orribile consapevolezza, la natura umana come sporco.
Eppure sta sulle balle a un sacco di gente. Peggio ancora, ogni tanto me lo vedo affiancare a Moccia e a Volo ad illustrare la mala-letteratura del nostro secolo. Ma si può? Ma in base a cosa? Secondo quale criterio?
Cerco di fare una summa delle ragioni, e l'unica che mi viene è che Ammaniti stia antipatico perché fa figo dire che è antipatico.
Forse perché ha successo, che dopotutto le sue belle millemila tot di copie le vende. Forse è vederlo affiancato ripetutamente a best-seller d'infimo calibro che fa precipitare le sue credenziali, non so.
O magari è il fatto che Ammaniti piace troppo a quelli secondo cui fa figo leggere Ammaniti, perché è esplicito, crudo e non si pone limiti di tematica, che poi lo citano a caso e lo rendono insopportabile tipo effetto spam.
Queste sono le uniche ragioni che ho saputo raggranellare per l'astio di cui è ammantato Ammaniti. Trovatemene altre, magari, io son pure curiosa.
Altrimenti mi limito a consigliarvi i testi che ho lassù enumerato, soprattutto Che la festa cominci, che sembra un incidente con fusione finale tra Benni e Lansdale. L'ultimo, Il momento è delicato, ancora non l'ho letto e Io e te sto cercando di dimenticarlo (leggesi come: vi consiglierei spassionatamente di non iniziare da quello).
Noto che in questo post sono stata particolarmente volgare. Tutta colpa di Edward Bunker, sto leggendo Come una bestia feroce – tra l'altro con l'introduzione di Ammaniti – e il suo linguaggio sporco ha infettato tutto quello che settimane di garbati classici erano riusciti a ripulire. Tra l'altro Bunker ha recitato in Le Iene come Mr. Blue, avete presente?
Ad ogni modo, noto anche di non aver fornito nessuna informazione degna di questo nome sulla trama dei libri che ho elencato. Il fatto è che non volevo parlare esattamente dei libri, ma dell'autore. Più avanti vi parlerò anche dei libri, magari. Quando mi verranno restituiti dall'amica cui li ho prestati. Forse. Speriamo.