Piccoli scorci di libri, ovvero recensioni assai brevi e poco impegnative #13


Il bello della vita di Dan Rhodes – traduzione di Daria Restani – Newton Compton 2012

Io e Dan la pensiamo allo stesso modo sull'arte. E non so quanti siamo a pensarla così, però fa piacere vedere di non essere soli. Importanza al messaggio e alla sua realizzazione, odio verso chi infanga l'arte con cavolatine pretenziose che non vogliono dire nulla, amore verso chi ci crede e s'impegna, a prescindere dalla 'bellezza' dell'opera finale. Qualche giorno fa mia sorella mi ha raccontato come si sono conosciuti Yoko Ono e John Lennon. Lui era andato a questa mostra e si è trovato al centro di un'opera, un'installazione. C'era una scala che puntava verso una boccia trasparente appesa al soffitto, con un foglietto di carta piegato al suo interno. John ha tentennato, chiedendosi cosa ci fosse scritto, ripromettendosi di incavolarsi se si fosse trattato di volgarità. Allora ha salito la scala, ha aperto il foglietto e ha trovato la scritta 'YES'. Nient'altro. Mi sarei innamorata di Yoko Ono pure io.
So che sono molti i seguaci dell'arte figurativa sempre e comunque. Ne prendo atto, anche se non sono d'accordo. È difficile definire cosa sia arte e cosa non lo sia, specie dopo che le imitazioni stesse hanno cominciato a somigliare agli originali. Siamo post-Duchamp, post-Warhol, post-qualsiasi cosa. L'arte è andata troppo oltre per poterne seguire il filo e questo filo ha finito per spezzarsi.
Scusate, non ho ancora iniziato a parlare del libro. Mea culpa. Il fatto è che Il bello della vita è impregnato di questo dubbio e finora forse solo Dan Rhodes si è mostrato d'accordo con il mio punto di vista sulla questione. Perdonate lo sproloquio, che è figlio dell'entusiasmo.
Allora, c'è Aurèlie, una ragazza che studia in un Istituto d'Arte a Parigi. Deve presentare un progetto artistico e, dopo vari tentennamenti, decide di scegliere un soggetto a caso tra la folla in una piazza parigina, lanciando un piccolo sasso in mezzo ad una piazza. La persona colpita dal sasso sarà il suo progetto, lo seguirà per una settimana e... eccetera. Peccato che il 'prescelto' sarà un bambino di pochi mesi in una culla. Peccato che la donna che lo accompagna non sia esattamente una persona normalissima e finisca per affidarlo ad Aurélie per la suddetta settimana.
Poi c'è Sylvie, migliore amica di Aurèlie, una donna meravigliosa che cerca l'amore sulla scia di centinaia di cuori infranti. E c'è Le Machine, un artista la cui opera – che poi sarebbe il fulcro di tutte le varie discussioni sull'arte – apparentemente più che discutibile cela un motivo che non posso spiegarvi. E c'è Lucien, un interprete fissato con le ragazze giapponesi. E il proprietario di un cinema porno a Parigi. E... e beh, altri personaggi.
Ora, è difficile parlare di questo libro. Io adoro Rhodes e ho adorato questo libro, ma mentirei se dicessi che si è rivelato perfetto. D'altronde, Rhodes è Rhodes, quindi non posso non concedergli il beneficio del dubbio e ipotizzare che certi difetti siano voluti.
I suoi personaggi si muovono in modo troppo fluido rispetto alle problematiche che vengono loro imposte. Assurdi fino al parossismo, purché la storia vada avanti, come se venissero spinti da una forza invisibile verso un dato comportamento, come accecati da un incantesimo. Non credo che Rhodes cerchi il realismo, ma effettivamente non ci si può 'fidare' del tutto del libro. Comunque, se voleste provare l'autore, vi consiglio prima di tutto Il bizzarro museo degli orrori, che dovrebbe essere uscito in economica per la Newton Compton. E che figura tra i miei libri preferiti in assoluto.

Un giorno di David Nicholls – traduzione di Marco Rossari e Lucio Trevisan – Neri Pozza, 2010

Questo l'ho scelto in un momento di leggero sconforto. Cercavo una lettura leggera, divertente, che mi rischiarasse un po' la giornata. E mi sono ritrovata in mano qualcosa che, in un certo senso, mi dava esattamente quanto cercavo, però andava anche oltre.
Oh, quant'è difficile parlarne senza rivelare nulla. Dannazione.
Allora, la trama è semplicissima. Ci sono Emma e Dexter, due ventitreenni che frequentano la stessa università e finiscono per conoscersi e fare sesso la sera della laurea. È la prima volta che parlano sul serio, chiacchierano, si prendono in giro a vicenda. E da lì nasce un'amicizia splendida, che questo libro racconta di anno in anno, per un giorno soltanto. Il 15 Luglio. Un capitolo che racconta i loro progressi in ogni ambito, come crescita personale, sentimentale, lavorativa. Emma e Dexter cambiano un sacco, in tutto questo tempo. Si rivoluzionano in maniera estrema. Dexter parte brillante, allegro, affascinante. Superficiale, ma buono. Emma, al contrario, parte con arguzia, idealismo sfrenato e invidia verso le infinite possibilità dell'amico.
Per un bel po' mi sono domandata da dove venissero i paragoni a Hornby e a Coe. All'incirca a metà lettura ho visto il primo, verso la fine anche il secondo. È difficile dire di più senza dire troppo. Ma ho adorato questo libro e, considerando che non corrisponde minimamente al mio genere (o ai miei generi?) direi che non è poco.
Ho apprezzato moltissimo i dialoghi e le lettere tra Emma e Dexter. Li ho trovati credibili, vivi, realistici. Ho letto critiche sulle lettere su Anobii (ovviamente) ma non mi stupirei di trovare quelle stesse frasi su una normalissima cartolina. Le persone dialogano in questo modo, con sottolineature, battute squallide etc.
E anche la crescita dei personaggi, il loro affondare e risalire, è stata, a mio avviso, gestita in maniera perfetta.
Non posso dire altro, davvero. Però, ribadisco, mi è piaciuto un sacco.