Riflessioni vagamente ordinate sull'autopubblicazione


Sto ancora stiracchiandomi, mentre scrivo questo post. Ieri notte ho finito di leggere Marina di Carlos Ruiz Zafòn e l'ho trovato troppo simile a L'Ombra del Vento per potervi dedicare una recensione. Però devo dire che mi è piaciuto un sacco, piacevole sorpresa, viste le recensioni che lo accusavano di mediocrità. Bello bello bello. Al momento mi sto dando a Una banda di idioti di John Kennedy Toole e per adesso lo trovo geniale. Vi saprò dire poi.
Ad ogni modo! Quest'oggi il post verte su un argomento che ultimamente mi smuove le rotelle nel cranio e sul quale, una volta tanto, sono riuscita a farmi un'idea piuttosto precisa. Ieri Diario dei pensieri persi – dubito che possiate non conoscere quest'eccelso blog che profuma di splendore e meraviglia, ma nel malaugurato caso ve lo consiglio poderosamente – ha pubblicato questo post, in cui Valentina esprime il proprio punto di vista sull'autopubblicazione, portando ad esempio l'opera in siffatto modo edita da una giovine ragazza italiana.
Ora, immagino che sappiate come ci si autopubblica sul web. Ci sono diverse piattaforme online cui affidarsi, da Amazon a Lulu e, per chi ha voglia di farsi due ricerchine su Google, molte altre. Io però non ho voglia di fare la ricerchina e lascio a voi l'arduo compito. Valentina nel suo post definisce l'autrice di Alias Grave Nil, Barbara Schaer, un'esordiente. Io dico... nì.
Non è una questione di snobismo. Non nego che tra tante centinaia di migliaia di opere autoprodotte possa celarsi un capolavoro, magari editato e revisionato da un professionista – che le agenzie letterarie e i free-lance fioccano – e messo a disposizione del mondo nella miglior forma possibile. Non dico che chiunque scelga di autopubblicarsi senza passare per una casa editrice debba essere per forza un egocentrico bove con gli occhi acquosi e la bocca ruminante oscenità grammaticali, ammantato di spocchia e sogni di grandezza. Non tutti. Però una buona parte...
Ecco, sicuramente c'è quello che finisce di scrivere la propria opera, la guarda con affetto, la revisiona con cura, magari la manda anche a un professionista che possa dargli un parere e un consiglio – visto che uno scrittore non potrà MAI essere oggettivo nei confronti del proprio figlioccio paginoso – e decide con calma di non ricorrere ad alcuna forma di collegamento tra sé e i propri eventuali lettori. O magari, essendo consapevole della scarsa commerciabilità della propria opera, sceglie di saltare una lunga trafila di rifiuti e passa direttamente ai fatti, in modo consapevole. Magari dicendosi che se tanti orrori editoriali vedono la luce nonostante si meritino la latrina, perché non il proprio 'libro'? Però... però ci sono quelli che ti spammano su Facebook – sì, li ho avuti anch'io – e per mail, quelli che incensano la propria opera nascondendosi dietro un nick-name, quelli che nel cassettone della scrivania tengono un mare di lettere di rifiuto – oddio, ormai si fa tutto per mail... ma mi piace di più pensare a pagine bianche tatuate di freddo inchiostro, quindi lasciatemela passare.
Ecco, la casa editrice per me ha una sua utilissima funzione di filtro. In un mondo ideale – diciamo, in molte case editrici ma sfortunatamente non in tutte, sennò la realtà editoriale non sarebbe immersa in questa crisi melmosa – un editore è una persona seria e competente, che ama il proprio lavoro, che vuole vedere il nome della propria CE stampato solo su copertine degne, che legge, promuove e pubblica bei libri e, tra le migliaia di manoscritti che gli giungono ogni giorno, sceglie solo i più meritevoli, i migliori. E non possiamo essere tutti in quello sparuto mazzetto di fortunati geni, ci sono anche i discreti, gli sgrammaticati e i mediocri, che però ci credono. Se la credono. Tantissimo. E spesso, davanti a innumerevoli rifiuti, invece di rileggere il proprio figlioccio con occhi nuovi e più consapevoli, si danno a forme di pubblicazione a metà. Editoria a pagamento – il Male Supremo – o autoproduzione. Perché quando ti autopubblichi vuol dire che tu e solo tu – per scelta o, molto più spesso dopo una montagna di 'no' – hai deciso di credere in te stesso. Che tanti altri, invece, non hanno voluto accordarti quella fiducia con cui ti affacci al mondo proponendo la tua opera. Ma perché io ti dovrei concedere quella fiducia, se so che ti è stata plurimamente rifiutata?
Ecco, per questo per me l'autopubblicazione è una pubblicazione a metà. Perché (quasi) per ogni professione ci vuole una licenza, un concorso, un esame, qualcosa e qualcuno che certifichi che TU sei perfettamente in grado di fare una tale cosa. E, in questo caso, quel 'qualcosa e qualcuno' sarebbe la casa editrice. Ma se si salta quel passaggio si rischia di restare fermi ad un livello amatorial-hobbistico che dubito coincida coi sogni più rosei di un aspirante scrittore.
E quindi, considerando per tutta questa serie di ragioni – un po' sparse – l'autopubblicazione, una pubblicazione a metà, non posso definire la già nominata Schaer un'esordiente. Se non a metà.
Aggiungo che, mesi addietro, sono stata ad un incontro con Zerocalcare, eccelso fumettista di cui vi consiglio con estrema convinzione La profezia dell'armadillo. Egli asseriva che il proprio successo sull'Internet derivasse soprattutto dall'impegno costante che metteva nelle strisce. Che, pur essendo gratuite e fruibili da chiunque, non sono mai tirate via. Trasudano anzi sforzo, impegno, interesse, cura. In nessun caso si può supporre che Zerocalcare si sia detto 'Bon, tanto è gratis, pubblico anche 'sta ciofeca'. Invece molti aspiranti fumettisti italiani peccano nel fare questo ragionamento, proponendo stralci 'carini' o 'mediocri' quando dovrebbero promuoversi puntando alla perfezione. E io temo che molti aspiranti scrittori si macchino dello stesso errore, sottovalutando la forza del web e le possibilità che offre. Se ci si mostra, bisogna farlo al meglio. Altrimenti, si faceva prima a rimanere nell'ombra, no?
Sicuramente mi sto perdendo opere meravigliose. Lo so, ne sono consapevole. Però continuo a pensare che mi sto anche risparmiando tante ciofeche. Ma ditemi cosa ne pensate, che sono curiosa. La discussione nella mia testa è ancora aperta.