Due parole su Persone normali di Sally Rooney (e molte di più sull'annosa definizione di “letteratura femminile")

Normal peoplePersone normali – è il romanzo d’esordio di Sally Rooney, che già avevo apprezzato parecchio con Parlarne tra amici. Qualche settimana fa ho trovato l’edizione in lingua originale in un Libraccio e non me lo sono fatto sfuggire; è stata una lettura svelta, sommamente apprezzata, è non è perché non sapessi cosa dirne che ne ho rimandato a lungo la recensione. Il fatto è che c’è tanto da dirne, non solo come romanzo ma come fenomeno letterario inscritto in un contesto più grande, e volevo prendermi un po’ di tempo per pensare bene a cosa dirne, visto che in un certo senso trovo l’inquadramento dell’opera significativo quanto l’opera stessa.

Negli ultimi giorni è tornata in auge nel magico mondo di twitter l’annosa – e irritante – questione “e se la Ferrante fosse un uomo?”, che trovo sostanzialmente ributtante per il sottinteso, neanche troppo subdolo – difatti non capita di rado che l’origine del sospetto venga esplicitata in ingenue manifestazioni di misoginia presto rimpallate da insulti – che le donne non sappiano scrivere così. In un contesto editoriale – manifestazione parziale di una cultura ancora fortemente patriarcale – che vede la produzione letteraria femminile come una variazione dell’universale – la produzione letteraria maschile – una scrittrice che riesce a fare breccia in un pubblico così vasto e variegato per tanti suona ancora come una contraddizione.


Sally Rooney, che è diventata un immediato caso letterario internazionale, non sfrutta l’anonimato della Ferrante, e non può essere tacciata di essere un uomo sotto mentite spoglie; le critiche che le vengono mosse – non tutte, certe sono assolutamente lecite, dopotutto la letteratura è una questione intima, personale, e i gusti sono davvero gusti – le rinfacciano la parzialità del punto di vista – femminile – e la ristrettezza delle tematiche: Sally Rooney parla dopotutto di rapporti umani, con una particolare attenzione – decisamente non esclusiva, tutt’altro – delle relazioni amorose delle protagoniste. Sono relazioni che vengono sezionate, analizzate nel profondo delle contraddizioni tra il sentire dei personaggi e le loro azioni, le parole che prendono significato tanto più riescono a scavare nel marasma di traumi e insicurezze che formano, insieme a tutto il resto, la personalità dell’individuo.

Molti lettori non sanno cosa trovarci, in Sally Rooney, e questo è certamente lecito; non esistono romanzi universali, e se ci fossero sarebbero innocui. Ma quando leggo un commento che sbugiarda il valore letterario di Sally Rooney, mi rendo conto che non sempre parliamo di gusti. Più spesso il punto è un altro: la prospettiva di Sally Rooney non interessa, non è significativa, non è così importante, perché essendo una donna Sally Rooney scrive “letteratura femminile”*; una scrittrice che tratti di sentimenti non può che essere chick-lit, non ha nulla da dire che non si possa trovare altrove, scritto meglio, da uno scrittore uomo. Ogni volta che leggo o sento dire che “le donne sono diverse, incomprensibili, complicate, non le si riesce proprio a capire, non parliamo la stessa lingua, gli uomini vengono da Marte etc”, mi chiedo quali siano stati gli approcci alla produzione artistica femminile di chi ne lamenta la lontananza prospettica. Leggete Sally Rooney, se volete farvi un’idea di cosa sia vivere da donne, vorrei rispondere, o Elizabeth Strout, o Catherine Lacey, o Yiyun Li. Di recente mi hanno spalancato gli occhi Guida il tuo carro sulle ossa dei morti di Olga Tokarczuk e Lolly Willowes di Sylvia Townsend Warner. Che senso ha lamentarsi di quello che non si conosce se non si fa nulla per conoscerlo?


La risposta mi irrita più della domanda – o del fatto che molti tendano a non porsela proprio. Tanti lettori non leggono scrittrici donne perché pensano che non le troverebbero all’altezza; ancora peggio, pensano – o meglio, sentono, che non si tratta tanto di riflessioni quanto di automatismi inconsci – che non troverebbero un terreno comune, non avrebbero di che identificarsi, perché le donne sono altro e non sempre abbiamo voglia di capire l’altro.

Fino a qualche anno fa evitavo di avvicinarmi alle letterature di paesi che sentivo come culturalmente troppo lontani, pensavo che nella traduzione di un modello di società diverso avrei perso qualcosa in gradimento. Leggevo soltanto letteratura anglosassone o giapponese – la cui cultura è fortemente occidentalizzata –, qualcosa di europeo, pochissimi autori italiani, che la letteratura italiana, non conoscendola, la sentivo estranea e sempre uguale – pregiudizi gente, abbiamo tutti dei pregiudizi, è importante imparare a farci caso e smantellarli. Poi ti capita di leggere romanzi che vengono proprio dalle letterature che disconoscevi, e scopri che ops, l’umanità è la stessa ovunque. Se il modello socio-economico cambia, le emozioni rimangono quelle. La domanda diventa a un certo punto, “perché non mi interessa identificarmi con questa specifica categoria letteraria?” – se poi col tempo si evolve in “perché percepisco questa categoria letteraria come fosse separata dal resto?” c’è da fare festa. Il resto è lo sguardo che si allarga dentro e fuori, a seconda di quello che decidiamo di accogliere, e della consapevolezza con cui scegliamo di non accogliere.

Dunque, Persone normali di Sally Rooney: non ne ho ancora detto nulla. La faccio breve, che dopotutto la trama è semplice e lineare, i punti di vista si riducono ai due protagonisti, Connell e Marianne, lo svolgimento della storia prende una manciata di anni, dall’ultimo anno di scuola superiore alla fine dell’esperienza universitaria di entrambi, a intervalli irregolari di pochi mesi tra un periodo e l’altro.

Marianne viene da una famiglia strana e ricca, e come la famiglia è strana e ricca. Non ha amici, legge un sacco, il suo intelletto sfiora il genio. È l’outsider della scuola – ce n’è sempre almeno uno – e ha un’ossessione per Connell, figlio della domestica.

Connell è in un certo senso l’esatto contrario di Marianne, e nel profondo quanto le sia di più vicino. Il tipico “numero uno” della scuola, più per il suo aspetto gradevole che per il suo carattere; è schivo e silenzioso, ma questo gli dà un certo fascino. È amico di tutti e tutti vogliono essere suoi amici, non tanto per la compagnia, ma per la facilità con cui evita di mettersi in contrasto con gli altri. Come Marianne sfiora il genio, ma è anche un vigliacco. Durante l’ultimo anno delle superiori iniziano a frequentarsi e a fare sesso, ma di nascosto, perché Connell tiene troppo al proprio status sociale, all’opinione che a scuola hanno di lui; farsi vedere con Marianne lo metterebbe a disagio, potrebbe fare nascere discussioni che non ha nessuna voglia di affrontare. Non si illude sulla ragionevolezza del proprio comportamento, men che meno lo fa Marianne.



Così ha inizio la storia, e così continua. Marianne e Connell sono due individui pieni di falle che non riescono a non ributtare reciprocamente nel proprio rapporto, che continuano a farsi male l’un l’altra e a se stessi, a fallire nel comunicare e a fallire nel capire. Sono immersi nella ribollente cultura contemporanea, discutono senza filtri di letteratura, politica, ideologia. Il sottotesto politico di Persone normali è meno centrale rispetto a quello di Parlarne tra amici, ma comunque interessante.

Quello che affascina, oltre alla profondità dell’introspezione psicologica, è che i personaggi della Rooney non si muovono come personaggi, presi dalla linearità del proprio percorso narrativo, dritti verso gli orizzonti che il narratore ha apparecchiato per loro; sono disgraziati, incomprensibili e inaffidabili come sono gli umani. Dicono una cosa e ne pensano un’altra, e magari neanche sapevano di pensarla. A forza di nascondersi per evitare di prestare il fianco, finiscono per fare del male all’altra persona. Il malinteso è sempre dietro l’angolo, è facile cambiare idea o rivoltarsi al proprio volere. Gli esseri umani sono un casino, e Sally Rooney quel casino lo conosce bene.



*“Letteratura femminile”, come no, Elizabeth Gaskell è roba da donne, William Thackeray è universale OH GRANDI SAPIENTI DELLA LETTERATURA SVELATEMI I PARAMETRI PER LA DEFINIZIONE DELL’UNIVERSALITÀ CHE PROPRIO NON RIESCO A IMMAGINARMELI-