Mio
nonno era un figo.
Non
è una definizione che riesca a racchiuderlo tutto, la persona che
era e le esperienze che ha fatto, ma ho sempre pensato che quando –
non se, quando – avessi scritto di lui, avrei iniziato così. Con
“mio nonno era un figo”. Sono le parole con cui introduco il suo
fantasma agli amici che non l'hanno conosciuto – quasi tutti,
perché non gli piaceva vedere nessuno al di fuori della famiglia, e
soprattutto negli ultimi anni lui e la nonna erano diventati degli
eremiti senza la consolazione della filosofia.
Mio
nonno era un figo e da ragazzina gli chiedevo sempre di raccontarmi
la guerra. Tra la fine delle elementari e lungo tutte le scuole
medie, ho provato una certa truce fascinazione per la Resistenza più
che per la guerra in sé, e quando potevo leggevo cronache trovate in
biblioteca, interpellavo gli altri nonni – e la mia visione era
parziale e stupita, dov'erano i fascisti, contro chi combattevano i
miei parenti? Da parte di madre e di padre non ho che partigiani,
anche l'altro nonno, quello democristiano, faceva da staffetta e
aveva un nome in codice, Franco. Solo mia nonna, quella di Nonno
Figo, aveva un lontano cugino che si era unito ai fascisti ed era
morto in Russia, povero disgraziato – lo so perché ho visto la
foto, seppiata, in bianco e nero.
(nonno è quello al centro con la faccia da mascalzoncello; potete ben vedere che era veramente un bel ragazzo, roba da film. ma gli piaceva lo stesso farsi spaccare la faccia sul ring, bello il mi' nonno, da qualcuno avrò preso tutta 'sta violenza)
Quando
ancora non capivo cosa fosse la guerra, ho chiesto a mio nonno, pure
con un certo entusiasmo, “Hai mai ammazzato qualcuno?” e lui mi
ha risposto con una tale vergogna, un tale dolore, che ho capito
subito cosa gli avessi chiesto. Non mi ha dato numeri, non ha
accennato a situazioni particolari. A distanza di tanti anni ancora
non sopportava il sangue che aveva sulle mani. Né lo idealizzava.
Mio
nonno ha fatto una cosa bellissima, dopo la guerra. Conosco persone
che hanno fatto cose meravigliose, ma questa è di una grandezza tale
che non riesco neanche a dirla senza spiegare da dove venga, perché
è anche da lì che viene quella grandezza. Ci vuole contesto.
Dunque, nonno era l'ultimo di dieci tra fratelli e sorelle, equamente
suddivisi tra cattolici, comunisti e anarchici – e non è detto che
pure i cattolici non fossero anche comunisti, ma è troppo tardi
perché glielo chieda, quanto sono stata scema a lasciare che
passasse il tempo senza fargli domande. Quando aveva diciassette anni
l'hanno spedito nell'esercito a fingersi fascista, con la promessa
che se ne sarebbe fuggito sulle montagne appena possibile. Questa
fuga la condivideva con un amico, ne parlavano insieme di nascosto.
Va da sé, qualcuno li ha scoperti e ha fatto la spia, e in seguito a
una sparatoria sono stati catturati e messi sul treno per un campo di
concentramento – quale, sinceramente, non lo so. E mio nonno
raccontava di quando era un ragazzino – diciassette anni sono così
pochi – e si sporgeva dal treno per urlare alla madre del suo amico
che “Non si preoccupi, signora, glielo riporto io suo figlio!”.
Per
dire, mio nonno aveva un sacco di ragioni per avercela coi fascisti,
erano i suoi nemici naturali, no? Ancora un attimo e arrivo alla cosa
più bella che abbia fatto mio nonno – e qualsiasi essere umano
abbia conosciuto di persona.
Il
treno arriva a Bologna, i binari sono stati divelti da un
bombardamento e deve fermarsi. Intanto passa di lì una batteria
tedesca a corto di uomini. Fanno scendere gli italiani, offrono una
possibilità: combattere sotto il comando tedesco o andare a morire
in un campo.
Mio
nonno e il suo amico non avevano fretta di morire, e finché erano
vivi potevano scappare, quindi optano per la prima opzione. Non che
questo c'entri con la cosa bellissima che ha fatto mio nonno, ma
forse i germogli vengono anche da lì: tra le mille domande che gli
ho fatto – diecimila, avrei dovuto fargliene, accidenti a me – ce
n'era una la cui risposta mi ha stupito tantissimo. “Quanti nazisti
c'erano nella tua compagnia?”. E lui ha sorriso, una mezza smorfia
addolorata. Eravamo seduti sul suo letto, la stanza era buia perché
lui e la nonna – che dormiva lì accanto – tenevano sempre tutte
le imposte chiuse, il lampadario spento, lo accendevo tutte le volte
che entravo nella stanza perché quel buio mi sembrava più
patibolare degli altri – e mi ha detto “Nessuno. Non ce n'era
uno.” Era la contraerea, non so in cosa fosse diversa da altre
compagnie. Erano giovani, il sergente aveva preso mio nonno in
simpatia anche se aveva subito dato problemi – mio nonno, signore e
signori, che da prigioniero litiga coi tedeschi che gli mancano di
rispetto; ho già detto che era pugile e che la guerra gli ha
stroncato la carriera? Ha combattuto in piazza Vittorio qui a Torino,
è arrivato secondo al campionato nazionale.
Mio
nonno ha passato mesi dalla parte dei suoi nemici. E quasi nessuno
gli era ostile, anche se sapevano che era antifascista. Gli toccò
anche una medaglia per aver salvato, durante un bombardamento, un suo
compagno di plotone – si disfece della medaglia, disgustato. Prima
del 1943 i tedeschi erano ancora alleati, e i bombardieri che mio
nonno doveva tirare giù venivano a devastare la sua città, il suo
paese. Non vedeva in faccia i morti, ma sono certa che gli abbiano
fatto male comunque.
La
cosa bellissima di mio nonno; o almeno, quella che mi strazia di più,
che è una cosa così bella che potrebbe comprargli le chiavi del
paradiso – ma il clero e la religione tutta gli sono sempre stati
pesantemente sul cazzo, quindi al massimo gli può aprire le porte
dell'iperuranio.
Quando
la guerra è finita, c'erano un sacco di conti da regolare. Fascisti
e nazisti erano un duo affiatato e inscindibile, le atrocità degli
uni si accompagnavano alle atrocità degli altri; ceffoni di storia a
chi si illude che il fascismo fosse tanto meglio. Magari è il fatto
che discendo da partigiani a rendermi questa realtà semplice da
digerire, vai a sapere. I miei nonni stavano dalla parte giusta –
che non vuol dire fare sempre cose giuste; mia nonna, quella di Nonno Figo, ha
raccontato di aver visitato di nascosto la buca in cui avevano gettato due
nazisti morti per sputarci dentro, una notte. Non riusciva a
dimenticarselo; lì per lì la guidava la rabbia, nel ricordo li
rivede come ragazzini che con ogni probabilità non volevano essere
lì né fare quello che facevano.
Ecco,
ci sono: dopo la guerra capitava che gli exfascisti venissero
assaltati per strada, la notte. Che si regolassero i conti così, e
non è che non riesca a capirlo – che quando un partigiano scappava
per le montagne, si prendeva ostaggio la sua famiglia. Conosco la
storia di un tizio a cui hanno murato vivi i genitori perché si
presentasse a farsi fucilare, e la notizia gli è arrivata troppo
tardi, che ormai i genitori erano morti. Dopo la guerra ha dato di
matto e ha massacrato l'intera famiglia dell'uomo – italiano,
fascista – che ha dato l'ordine, bambino compreso; e spero di non
provare mai una tale rabbia, e in caso di saperla domare. Sono dolori
che non riesco neanche a immaginare.
Dunque,
mio nonno. In questo clima di guerra finita e di vendetta incombente,
mio nonno faceva le ronde. Ronde notturne per tenere d'occhio la
situazione e tenere sicure le strade per i fascisti. Per proteggere i
suoi nemici, quelli che l'avevano messo su un treno. A guerra finita,
mio nonno voleva la pace e basta. Anche se aveva così tanto da
recriminare, mio nonno proteggeva i fascisti.
Non
sono cristiana, il massimo di religiosità cui aspiro è
l'agnosticismo – anche se mi piacerebbe riuscire a credere a
qualcosa, potendo sceglierei una cosmogonia allegra e bislacca, piena
di mitologie e personaggi che si combattono tra loro e bevono un
sacco – ma poche cose mi commuovono come il perdono. C'è una tale
forza, una tale abnegazione nel riuscire a mettere da parte tutta la
propria rabbia – che comunque viene dalla sofferenza e non dal
nulla – per dire “ok, lasciamocelo alle spalle, vita tua vita
mea”, una grandezza che neanche mi bastano le parole. Tra tutte le
cose che ha fatto mio nonno, tutte le persone che è stato – altre
cose interessanti: da comunista è finito nella lista nera dei
comunisti per aver denunciato delle irregolarità, è fuggito in
Argentina e ha partecipato all'ammutinamento sulla stessa nave; in
Argentina, tra una cosa e l'altra, ha avuto un puma come animale da
guardia – questa è quella che mi commuove di più. Ed è strano che la lezione più bella di mio nonno sia questa, visto che odio il fascismo con un odio feroce, e so che combatterlo è dovere civile, e meriterebbe di essere dimenticato non fosse che speriamo che la memoria ci salvi dagli errori – e quanto ci illudiamo, ci sono sempre gli imbecilli che prendono il ventennio come fosse una cura anziché una malattia. Teste disabitate, vorrei avere per voi l'occhio di riguardo e comprensione che ha avuto mio nonno – ma due ceffoni, voglio dire, solo due ceffoni, nonno, dai, se fanno il saluto è come porgessero la guancia, su.
Da ragazzina
gli facevo un sacco di domande e mi sognavo sui monti, libera e
rivoluzionaria, nelle mie fantasie mi mettevo al suo posto e
combattevo la malvagità fatta storia; a combattere i nazisti, non
puoi che uscirne da eroe.
Ora non so, sarà l'età, ma la grandezza cui aspiro è quella di nonno che da partigiano, a pace fatta, protegge i fascisti. Mio nonno salvava i fascisti.
Ora non so, sarà l'età, ma la grandezza cui aspiro è quella di nonno che da partigiano, a pace fatta, protegge i fascisti. Mio nonno salvava i fascisti.
(questo è nonno che fa la faccia da scemo da piccolo; un po' scemo lo è rimasto, ci sono fior di filmini delle comunioni dove sporca la faccia di mio fratello con la panna della torta, foto in cui si concia come una splendida madama. gli piaceva fare scherzi, una volta lui e nonna e altri parenti si sono intrufolati a casa di una sorella e le hanno finito i ravioli preparati per il pranzo di domenica. è un bel modo di ricordarlo. è un bel motivo per restare almeno un po' deficiente man mano che cresco).
E
i gatti, se è per quello. Altra cosa interessante: ai tempi non è
che ci fosse un grande rispetto per la vita degli animali, e
dopotutto mio nonno non è mai stato animalista neanche per scherzo,
neanche per niente. Però aveva un senso del sacrificio utile che gli
faceva disprezzare la crudeltà fine a se stessa: passeggiava con un
amico e quello tira fuori la pistola per puntarla su un gatto. Gli
dice pure “Sai che faccio?, ora gli sparo”. Mio nonno,
candidamente, ha estratto la sua pistola e gliel'ha puntata alla
tempia. “Spara. Poi sparo io.”
Mio
nonno.
Queste
di seguito sono canzoni di discreto antifascismo, e a mio nonno
piacevano un sacco – ovviamente – anche se preferiva l'Opera.
(Maramao sembra così uscita da Fallout che ora me la immaginerò ogni volta che ci gioco)