“Time is
an illusion that helps things make sense, so we're always living in
the present tense”, canta B-Mo nell'ultima puntata di Adventure
Time; Talete catturava l'essenza cangiante della realtà col suo tutto scorre, Sant'Agostino nelle sue Confessioni si interrogava
sulla soggettività del tempo, precedendo la relatività di Einstein
di buona misura. Ci siamo raccontati a lungo di vivere un periodo di
stagnazione, ci siamo abituati a un mondo che si ostinava a rimanere
uguale a se stesso anche se la ragionevolezza annunciava a gran voce
l'arrivo di sconvolgimenti sempre più violenti. È cambiato così
tanto, siamo cambiati così poco.
Il peso
della quarantena mi è piombato addosso ieri notte, tutto insieme.
Cercavo di conciliarmi il sonno con una conferenza di Barbero sulla democrazia e il video si è interrotto di colpo – internet è
quello che è. Sono rimasta immobile, con gli occhi spalancati sul
soffitto azzurrino, e all'improvviso ho capito quello che stavo
vivendo. E sono rimasta per un po' così, agghiacciata dalla nuova
consapevolezza e dalla mia impotenza. E dire che fino a ieri ero
convinta che me la sarei cavata egregiamente; “Ma va', l'isolamento
è il mio habitat naturale. Ho un sacco da leggere, tre settimane manco mi bastano”, ho detto alla mia coinquilina, ancora ignara,
felicemente dissociata dalla gravità della situazione. Poche ore
dopo pensavo ai miei, agli amici giù a casa. Se avessi saputo che
saremmo rimasti lontani così a lungo, sarei scesa a trovarli prima,
sarei rimasta da mia madre più a lungo del solito. Avremmo guardato
qualche film di Billy Wilder, al mattino avrei fatto colazione con
mio fratello in un bar gestito da cugini così alla lontana che non
so neanche dove si incrocino i nostri alberi genealogici.
Poche settimane fa usciva un mio racconto su Spore, a dare inizio a una rassegna
intitolata Diari del Domani, pensata per raccontare un futuro che
credevamo molto più lontano. Abbiamo anche creato allegramente una
playlist ufficiale, Soundtrack for the Apocalypse, che adesso
sembra quasi un'iniziativa meschina, di cattivo gusto. Fino alla
settimana scorsa usavo continuamente parole come apocalisse,
post-apocalittico. Mi chiedevo con morbosa e divertita curiosità
come sarebbe stato il mondo in seguito a uno sconvolgimento di cui
non riuscivo a identificare la natura – ipotizzavo senza
approfondire una nuova guerra, mondiale e civile, innescata
dall'insofferenza e dai danni incontrollabili del cambiamento
climatico – e che mi pareva insieme remoto e vicinissimo, un
ologramma intangibile. Non pensavo che a cambiare tutto sarebbe stato
un virus; la prospettiva mi appare tuttora fantascientifica quanto
un'invasione zombie, o la discesa degli alieni.
Mi viene
difficile, adesso, pensare lucidamente al dopo, immaginarlo come
facevo prima. Mi porto in testa da anni racconti che rispondono a
quell'entusiastico “Come faremo, dopo che-?”, e mi preparo a
scriverli, perché se non è questo il momento giusto, allora non lo
sarà mai. Ma se dovessi chiedermi adesso quello che accadrà dopo,
non saprei rispondermi. Il futuro non mi si è mai presentato così
incognito.
Ma. Se c'è
qualcosa in cui credo, è la letteratura; potrei pregarla con la
cieca intensità di un martire. Credo nel potere delle storie di
riplasmare la realtà. E credo che in questo momento abbiamo bisogno
di immaginare un futuro possibile e credibile e che non faccia
schifo. Per dirla in poche parole facilmente travisabili, abbiamo
bisogno di speranza. Citando l'ecofemminista Donna Haraway, “abbiamo
un disperato bisogno di storie che superino l'apocalisse come punto
d'arrivo”.
L'Hopepunk è
un genere letterario sbocciato di recente, identificato da Alexandra
Rowland nel 2017; nasce come una reazione scomposta alla supremazia
della distopia sull'utopia, propone l'ottimismo come forma di
resistenza attiva praticata attraverso una maggiore consapevolezza
del proprio contesto e del proprio agire, che diventa una presa di
posizione – la volontà di cambiare il mondo può cambiare il
mondo, un singolo atto di gentilezza per volta. Non si tratta di
racchiudersi in una bolla auto-consolatoria; tutt'altro. È
l'accettazione della possibilità di frantumare la bolla e provocare
qualcosa nell'ambiente in cui ci troviamo, per quanto schifo faccia. L'arma più feroce del
male è convincere il bene che non serve a niente. Ma ogni atto di
gentilezza disinteressata è ribellione – ed è anche questa
un'arma potentissima.
Dunque,
scrittori, editori, redattori, creativi di ogni arte. Mano sul cuore.
Abbiamo
bisogno di Hopepunk come non ci fosse un domani – è una battuta
che riciclerò per settimane, mi spiace.
Pensate, per favore, al mondo che verrà. Diteci che non farà del tutto schifo, perché non è detto che debba fare schifo. Leggo previsioni catastrofiche che interpretano i dati disponibili, e non è che siano sbagliate – e se lo fossero, certo non sarei io a poter dire come e perché – ma ci stiamo mentendo se pensiamo di sapere come andrà a finire – o come andrà avanti, perché la fine è più lontana di quanto da umani riusciamo a vedere – perché le variabili sono tante e incognite e incerte; certe non sono nemmeno misurabili. Fatevi sotto, creativi. Come andrà potete dircelo solo voi – che potete prendervi la libertà di fantasticare sul futuro.
Pensate, per favore, al mondo che verrà. Diteci che non farà del tutto schifo, perché non è detto che debba fare schifo. Leggo previsioni catastrofiche che interpretano i dati disponibili, e non è che siano sbagliate – e se lo fossero, certo non sarei io a poter dire come e perché – ma ci stiamo mentendo se pensiamo di sapere come andrà a finire – o come andrà avanti, perché la fine è più lontana di quanto da umani riusciamo a vedere – perché le variabili sono tante e incognite e incerte; certe non sono nemmeno misurabili. Fatevi sotto, creativi. Come andrà potete dircelo solo voi – che potete prendervi la libertà di fantasticare sul futuro.
Fino a nuovo
ordine segnalo l'antologia Solarpunk edita da Future Fiction e La
città dell'orca di Sam J. Miller. Ancora non li ho letti, ma il
secondo mi aspetta sul comò, e prevedo di abbrancarlo non appena
avrò finito Arcadia di Laura Groff.
Nel
frattempo, per alleggerire il presente, qui Maria di Scratchbook
segnala le case editrici che effettuano sconti solidali e piattaforme
di ebook gratuiti; qui c'è una lista di piattaforme streaming
gratuite – fanculo, Amazon – zeppe di serie, anime, film, da Le
bizzarre avventure di JoJo a pellicole di Lynch e Linklater.
Consiglio a chi non è avvezzo di cercare su youtube contenuti di
loro interesse – storia, astronomia, filosofia, letteratura –,
perché trabocca di corsi, conferenze, documentari. Spotify è piena
di podcast – sapevate che esiste il podcast ufficiale di Barbero? Per dire.
Forza,
tutti. Forza.