Racconti dal Mississippi di Hamlin Garland - Miseria e bellezza del Midwest


C'è stato un tempo in cui rifuggivo i classici americani, credo di avere iniziato verso la fine delle superiori. Mia madre mi aveva convinto a leggere La valle dell'Eden di John Steinbeck, e mi era piaciuto almeno quanto mi aveva ferita. Mi lasciavano scottata non le costanti disgrazie e gli attriti tra i personaggi, quanto la loro rassegnazione, la mancanza di fiducia con cui guardavano al futuro. Mi urtava il fatto che avessero ragione a vedere il mondo come lo vedevano, perché nel Magico Mondo di Steinbeck, già ad aspettarti il peggio fai la figura dell'ottimista.
Avevo provato a leggere un po' di London e un po' di Hemingway, e in entrambi avevo ritrovato la cupa visione del mondo di Steinbeck. Nessuna rivalsa, promessa, speranza. Solo nell'ultimo anno ho ripreso in mano sia Jack che Ernest, il primo con una raccolta di racconti e il secondo con Il vecchio e il mare – e in questo secondo libro, di speranza ce n'è a secchiate, ma credo che ad aprirmi la strada per i classici americani siano stati dopotutto Francis Scott Fitzgerald e Truman Capote, coi loro personaggi abbaglianti.
Ad ogni modo.



Al Salone del Libro di quest'anno ho riproposto a minima richiesta Il Salone dell'Oca, e mi è capitato di saltare fino alla casella di D Editore. Non li conoscevo – mea culpa – ma si sono presentati. Tra una cosa e l'altra hanno parlato di Hamlin Garland, precursore di Steinbeck e di tutta la bella gente cui ho accennato, considerato il Dante dell'America profonda, nato e cresciuto in una fattoria del Midwest nel lontano 1860. Hamlin era un contadino, e ha raccontato l'America dei contadini, senza abbellirla e senza mentire. Comprendeva appieno le dinamiche sociali interne ai paesini, e i rapporti di potere che spezzavano la schiena dei fattori e dei braccianti, condannandoli a un'esistenza di miseria e fatica. Non proponeva soluzioni, il suo scrivere non è una diretta denuncia – penso, per dire, a Il tallone di ferro, che conosco per sommi capi, o a Uomini e topi; descrive, e lo fa bene, con competenza e cognizione di causa. I suoi personaggi soffrono quasi sempre situazioni di sistematica indigenza, e parlano delle loro miserie, di cui sono perfettamente consapevoli, in barba dallo stereotipo rassicurante del povero che non capisce la propria condizione.

Nei Racconti dal Mississippi (1891), edito da D Editore nel 2018, Garland racconta la miseria del Midwest, così come la bellezza; in mezzo ai contadini che si spaccano la schiena, a ragazzini immersi fino alle caviglie nello sterco di vacca, compaiono panorami meravigliosi, boschi e montagne che commuovono lo sguardo. È una bellezza che apprezzano soprattutto quelli che ne sono stati lontani a lungo; il racconto iniziale è incentrato su un uomo che torna a casa dopo un'assenza di dieci anni, da quando è partito per fare fortuna – e c'è riuscito, ma nel frattempo della famiglia si è dimenticato, e il fratello lo colpevolizza. Un altro racconto parla di un amore interrotto bruscamente, di uno stacco lungo sette anni, frutto di un immaturo malinteso. In un altro la protagonista è una vecchina decisa a tornare a visitare la città della sua infanzia, e parte da sola, indomita e raggrinzita. Garland racconta un'America in cui il viaggio è un'impresa difficile, perché le tappe sono immensamente distanti tra loro, ed è difficile mettere da parte i soldi per potere intraprendere una qualsiasi gita. Eppure alcuni dei suoi personaggi partono, si riempiono gli occhi e tornano – di solito – arricchiti.



Il mondo di Garland non è rassegnato. Nonostante i dolori, la fatica, le facce scottate dal sole, i vestiti rattoppati e stinti dall'uso, i finali si addolciscono proprio mentre sembra che stiano per chiudersi in una valanga di pessimismo. Si tratta di storie piccole, personali. Il ritorno a casa di uno sparuto gruppo di soldati, la ricerca di una moglie in un paesino lontano, una famiglia accolta da un'altra famiglia. L'industria è lontana, la politica è lontana, ci sono solo il lavoro e la famiglia. Garland descrive una situazione iniqua, lo sfruttamento travestito da libertà – ciao, capitalismo – che mette a dura prova il sentimento di giustizia.
Se penso che fino a qualche anno fa non leggevo classici americani né raccolte di racconti. Ho rischiato di perdermi così tante meraviglie. Plaudo alla scelta di D Editore di portare in Italia un autore come Garland, – peccato per i refusi, ammetto che ce n'è qualcuno di troppo, spero che se ne siano avveduti nelle ristampe.