Breve storia dei trattori in lingua ucraina di Marina Lewycka

Breve storia dei trattori in lingua ucraina di Marina Lewycka, dunque. Edito da Mondadori nel 2005, traduzione di Luigi Maria Sponzilli, è quello che si definirebbe un long seller; un romanzo che per una qualche imperscrutabile ragione continua a essere letto e consigliato, ci sarà sempre un lettore che da qualche parte userà il suo micragnoso profilo social per parlarne, rimettendolo in circolo, facendolo scoprire ad altri lettori e così via. Non è grazie a Mondadori, se questo romanzo continua a saltare fuori; è tutto merito del romanzo in sé.



Che idea me ne ero fatta, prima di prenderlo in biblioteca durante uno dei miei raptus che di norma culminano nel blocco della tessera per il ritardo accumulato nella restituzione dei prestiti? Nessuna; immaginavo che sarebbe sbucata fuori l'Ucraina, questo sì. Cosa c'entrassero i trattori, non me lo chiedevo neanche, anche se riflettendoci sopra più di dieci secondi mi sarei potuta facilmente figurare un'ambientazione fresca e bucolica, ettari di campi arati, infinite distese di grano e via dicendo.

Invece no, Breve storia dei trattori in lingua ucraina è ambientato in Inghilterra, più precisamente a Londra e nei suoi dintorni. La protagonista e narratrice è Nadia, una donna vicina alla cinquantina che un paio di anni prima dell'inizio della storia ha seppellito sua madre. Il padre è rimasto solo nella casa circondata dal rigogliosissimo orto della defunta moglie, con la Grande Sorella – in quanto maggiore, e in quanto con lei si sente sempre rimpicciolire nel tempo, forzata nell'antica concezione di figlia piccola, eternamente condannata a non superare i cinque anni – non parla da anni per orribili questioni di lasciti ereditari. Nadia vive col marito Mike, insegna sociologia, ha una figlia grande che ha appena iniziato l'università. Tutto normale, finché una novità imprevista non spazza via la routine.



Il padre intende risposarsi con una donna di 36 anni conosciuta in un club per ucraini espatriati; Nadia non lo accetta, subodora immantinente le mani della promessa sposa allungate sulla casa del padre, sulla sua magra pensione, sui risparmi faticosamente messi da parte dalla madre quando era in vita. Non lo accetta e chiama in suo aiuto Vera, la Grande Sorella. E le cose, ovviamente, si mettono in moto.

Questo romanzo raccoglie due tematiche belle forti, che non lottano per predominare l'una sull'altra, ma che piuttosto si integrano e si spiegano a vicenda. Ci sono i legami famigliari che si sfilacciano e si stringono di nuovo tra Nadia e Vera, tra Nadia e suo padre; tutta la questione del “cosa fare con un ingrato genitore ormai anziano e un po' rimbambito?”, estranea ai lieti fini che si interrompono prima degli acciacchi, dei pannoloni, del trittico preso la sera lontano dai pasti. E poi c'è l'Ucraina durante e dopo la Seconda guerra mondiale, ci sono i campi di lavoro, c'è la fame. Nadia è nata dopo la guerra, quei campi non li ha mai visti; Vera era piccola, ma ricorda. Ricorda anche troppo.

E poi c'è la storia del trattore, negli studi che il padre di Nadia e Vera porta avanti da una vita, un importante trattato sull'influenza che il trattore ha avuto nello sviluppo economico e sociale dell'Ucraina. Da qui viene il titolo, e parrebbe marginale, - peraltro i pochi stralci che troviamo di quel libro sono pure parecchio interessanti.



Il tono è stranamente lieve, leggero, colloquiale. Non si avverte la pesantezza della vita in famiglia quando si fa difficile, men che meno l'orrore della storia. A volte fa stare male, ma è un ricordo che soffia lontano e non piomba come un macigno. Questa storia Nadia potrebbe raccontarcela prendendo il caffè – anche due o tre caffè, non è una storia cortissima – inframezzandola con risate e battute di spirito. Se fosse Vera a raccontarla, sarebbe tutto diverso, ma il dado della narrazione è stato tratto, per cui... beh, a me è piaciuto. E lo consiglio. Sta a me, evidentemente, ricoprire il ruolo del lettore che casualmente, a più di dieci anni dall'uscita, decide che è il momento di parlarne.