Piccoli scorci di libri #60 - Le solite sospette e Cattedrale

Cattedrale di Raymond Carver – traduzione di Riccardo Duranti – Einaudi, 2011

Quest'anno, come ogni anno, sono stata al Lucca Comics. Ci sono rimasta per tre giorni e due notti, e per non appesantire il già immane bagaglio, mi sono portata dietro un libro solo, relativamente piccolo, non ancora iniziato. Per somma sfortuna, ho notato alla seconda pagina che non mi stava prendendo; non che il libro ne fosse colpevole, probabile che non fosse semplicemente il momento giusto per leggerlo. Mi sono trovata un po' in difficoltà, ecco, che io di qualcosa da leggere ho sempre bisogno. Poi un mio amico si è ricordato che doveva ancora darmi il regalo di compleanno in ritardo, ed è arrivato con un involto fatto dai suoi pantaloncini a mo' di pacchetto. Com'è ovvio che sia, c'era Cattedrale di Carver. Graditissimo, invero. Graditissimo.
Anche se sono racconti, e io i racconti di norma non è che li adori, ecco. Non mi danno abbastanza tempo per affezionarmi ai personaggi, per conoscerli a fondo, per apprezzare la loro evoluzione durante la storia. Il racconto necessita intuizione, spesso ti spiega alla fine cos'è successo all'inizio, e a me questa cosa non è che affascini particolarmente.
Ma Cattedrale è Cattedrale.
Che dire? Persone normali si scontrano con eventi normali, ma dolorosi. Quelle ferite che incontreremo tutti, una volta o l'altra, o che quantomeno sapremo essere state subite da un amico o da un parente. Le cose cui ci prepariamo, che ci fanno chiudere gli occhi e pensare a un momento più felice. I momenti “che passeranno”. Cattedrale è fatta un po' di questi momenti e un po' di rifiuti, imbarazzi, difficoltà. Stridore, nel caso del racconto che dà il nome alla raccolta, e che non è stato il mio preferito. Quello che ho preferito, che mi è rimasto più impresso e che mi ha fatto scendere un paio di lacrime mentre attorno a me, a Lucca, i miei amici e compagni d'appartamento chiacchieravano allegramente, è stato il racconto in cui un bambino viene investito il giorno del suo ottavo compleanno, e i genitori si trovano a vegliarlo increduli nella sua stanzetta d'ospedale, chiedendosi perché non si svegli. E nel frattempo il pasticcere cui era stata commissionata la torta – ovviamente non ritirata – li tartassa di chiamate. Quello è stato il racconto che mi ha fatto più male; ma non è neanche per questo che mi è rimasto impresso. Forse è il finale, non lo so.
(Comunque Cattedrale è uno di quei libri che vanno letti. Grazie mille, ancora, all'amico che me l'ha regalato. Grazie, Fil. Che poi è lo stesso amico che mi aveva passato La versione di Barney, ditemi voi se non c'azzecca.)

Le solite sospette di John Niven – traduzione di Marco Rossari – Einaudi, 2016

John Niven è uno degli autori jolly quando devo fare un regalo a mio padre; infatti gli ho regalato pure Maschio bianco etero, e ha graditissimo pure quello. Niven è divertente, paradossale, talvolta sorprendentemente profondo. Specie in A volte ritorno, quello rimane il mio preferito. Invero ho trovato Le solite sospette un po' sottotono rispetto a quanto mi ha abituata, ma rimane una lettura estremamente piacevole, divertente, leggera, intelligente e quant'altro. Cioè, è Niven. Dannato scozzese.
La vicenda è presto detta e non è particolarmente originale. Una donna di sessant'anni rimane improvvisamente vedova e squattrinata, l'amica di una vita squattrinata la era sempre stata, altre due amiche hanno un discreto bisogno di soldi – e in un meraviglioso caso, di adrenalina. Ecco lì che si organizzano per rapinare la banca che ha mandato sul lastrico la prima tizia, Susan. E da lì, rocambolesche avventure, poliziotti improbabili con abitudini alimentari terrificanti, incontri, viaggi in macchina; la fuga. La riscossa, in un certo senso.
Se dovessi trovare un difetto al libro, ecco, indicherei la protagonista, Susan, la vedova. Trovo che il suo passaggio da rispettabile signora di una certa età e IMMA SHOOT U MOTHERFUCKER sia stato un tantinello immediato e per nulla combattuto. Non entrerò nei particolari, e non dico affatto che sia la cosa in sé a non piacermi, anzi, la reazione è più che comprensibile. È il “come” a non avermi convinta. Peraltro ci sono già due personaggi estremamente IMMA SHOOT U et, Julie e Ethel, è necessario che pure Susan ci si metta così facilmente? Ma sono cose mie, nulla che cozzi con la trama, ecco.

Me lo sono sciroppato più o meno tutto ieri, con enorme soddisfazione. Lo consiglio un sacco, senza ombra di dubbio. Ma ammetto che di Niven ho preferito sia A volte ritorno che Maschio bianco etero, quindi magari iniziate da quelli. A prescindere, Niven è spassosissimo.