Di libri e proteste legittime

Fino a poco tempo fa ero solita definirmi una persona “polemica”. C'è stato un periodo in cui non c'erano storie, se succedeva qualcosa all'interno del Magico Mondo della Letteratura e dell'Editoria saltavo su, pronta a far sentire la mia immancabile opinione. Ultimamente quello spirito polemico è venuto a mancarmi. Non so spiegarmene il motivo, sarà che ho un sacco da fare, sarà che sono in un momento particolarmente allegro della mia vita, sta di fatto che non ho proprio voglia di gettarmi nella mischia degli odierni dibattimenti.
Tranne in questo caso. Questo caso, proprio perché le opinioni sono così differenti e distaccate, laddove personalmente lo giudicavo impossibile, mi ha lasciato nello stomaco un sottofondo di fastidio che devo esprimere da qualche parte. Anche se probabilmente provocherà un calo dei lettori; anche se l'avvenimento cui mi riferisco risale a parecchi giorni fa, e quello che c'era da dire è già stato detto. Aggiungo anche che i libri c'entrano molto in senso lato. Certo, sono un'inguaribile e imbarazzante sniffa-carta, ma da parecchio tempo ho smesso di considerare il libro come a un'entità sacra e intoccabile. Cioè, Il Libro come emblema di tutti i libri rimane il mio vessillo di battaglia, ma la singola copia può anche subire maltrattamenti. Muoio un po' dentro, ma non è più una questione etico-religiosa, ecco.
Continuo ad allontanarmi da ciò di cui vorrei chiacchierare, e questo nonostante mi fossi ripromessa di essere breve. Bene, vediamo. Inizio dalla premessa, ovvero da quello che è successo il 10 aprile al Romics. Un gruppetto di neonazisti affiliati a Casa Pound – qualcuno riveli ai fedelissimi che Ezra Pound era omosessuale, vi prego – ha rovinato i fumetti esposti allo stand di Shockdom per difendere l'onore vituperato del duce, vista l'uscita di Quando c'era lui, fumetto comico-satirico di Antonucci, Fabbri e Perrotta. Giustamente si sono alzati cori di sostegno e nei confronti della casa editrice, degli standisti spaventati e degli autori perplessi – e spaventati pure loro, perché se c'è una cosa che le teste di ginocchio sanno fare è picchiare. A parte quando cercano di usare dei cavatappi in luogo dei coltelli, situazione sinceramente imbarazzante, ma soprassediamo.
Ho voluto iniziare dalla vicenda di Quando c'era lui perché è un caso perfetto, pulito. Lo squallore delle motivazioni amplifica il disgusto per l'atto ed è impossibile negoziare zone grigie. Come piacerà agli attori dell'aggressione, è tutto molto bianco e nero.
Poi pochi giorni fa, durante una visita di Salvini a Bologna, alcuni attivisti del collettivo Hobo sono entrati in una libreria Feltrinelli e hanno sfasciato alcune copie di Secondo Matteo, il libro di Salvini - il cui titolo mi pare appena un attimo presuntuoso, ma non è questo il tema.
Lì per lì non sono stata granché a riflettere sulla questione. Come l'attacco a Shockdom, mi pareva una vigliaccata indifendibile, un'azione di ineffabile squallore che non merita più di due secchiate di irritazione. Poi intorno a me hanno iniziato a parlarne – ciao, Fra – e grazie a quella strana cosa chiamata facebook mi sono accorta dell'atmosfera da zona grigia e acritica che aleggia attorno all'azione di Hobo. E questo pure da parte di persone di cui stimo l'intelletto e la capacità decisionale. Va da sé che, come ogni volta che mi inerpico in discussioni così polarizzate, soprattutto partendo da un assunto chiaro, preciso e inamovibile come “Quando la protesta si fa distruzione, la protesta è sbagliata a prescindere.”, non è affatto mia intenzione presupporre l'incapacità di “arrivarci” da parte di chi la pensa diversamente. Ma in questo caso, lo ammetto, la faccenda mi perplime non poco.
E la cosa curiosa è che sono io per prima ad avere una visione assai più liberale delle forme di protesta rispetto alla media delle mie conoscenze. Ogni protesta per me è lecita, finché non procura danni irreparabili. Rispetto il disturbo, il blocco, la parodia. Perfino sulla violenza ho delle discrete sacche di zone grigie, perché mi pare che si tralasci la possibilità che da un lato la violenza sia già stata subita, e che la reazione o la difesa siano completamente assimilabili all'aggressione stessa.
Ho una morale piuttosto frastagliata, di cui talvolta mi vergogno. Eppure perfino a me l'azione di Hobo fa orrore. E non perché si tratta di un libro. È il libro di Salvini, al massimo spiace per i materiali. È la cecità dell'azione, la violenza immotivata. Non mi va neanche di parlare della conseguente legittimazione delle parole e del personaggio di Salvini, perché non è quello il punto. Il punto dovrebbe essere che un'aggressione dovrebbe restare orribile e inammissibile, a prescindere dalla vittima e da ciò che l'aggressione stava a simboleggiare. Giustificare un'azione aggressiva con una rabbia giusta ci rende simili agli attivisti di CasaPound. E sono poche le cose cui vorrei somigliare di meno.
L'azione di protesta è bella e nobile quando significa qualcosa; la pigrizia intellettuale va combattuta a suon di simboli e metafore storiche. Qui sotto posto due delle possibilità di protesta metaforica ipotizzate una da Roberto Saviano su Twitter, e una da un'amica assai cara, trafugata col suo permesso dalla sua bacheca di facebook.






Protestare è lecito; distruggere è idiozia.