Whisky e chicchi di caffè di Ferran Torrent

Non ricordo come sia venuta a conoscenza di questo libro. Se dovessi tirare a indovinare, ipotizzerei di averne letto una qualche recensione su un blog di cui non riesco a ricordare il nome, o di aver notato la casa editrice su un non meglio identificato social. Tutta questa – inutile – pappardella per dire che, qualunque cosa abbia portato questo libro alla mia attenzione, sono ben lieta che l'abbia fatto.
Whisky e chicchi di caffè di Ferran Torrent, tradotto da Simone Bertelegni – ho molto apprezzato la nota introduttiva – e pubblicato da gran vìa edizioni. Non conoscevo questa casa editrice prima di incappare in questo libro, o forse viceversa. Fatto sta che è una scoperta piuttosto recente e che mi riprometto con entusiasmo di approfondire. Tra l'altro ringrazio Irene che è stata la mia emissaria alla fiera Più libri, più liberi, prendendomi e recapitandomi, tra gli altri, pure codesto volume.
Vediamo, da dove si può iniziare a parlarne? Intanto pare almeno in parte autobiografico, anche se è difficile intuire fino a che punto. Ho sempre l'impressione che, andando a fare luce sulla biografia di un autore, romperei l'illusione che si è impegnato a tessere con la narrazione, dunque preferisco evitare anche questa volta. Qui Ferran è il protagonista e narratore, e racconta di sé, della propria famiglia, della Valencia in cui è cresciuto. Non è scritto chiaramente in che anni siamo, ma l'autore è nato nel 1951, e il racconto inizia dalla sua infanzia, quindi possiamo tranquillamente fare i nostri conti.
Apro una piccola parentesi per ammettere che non sapevo granché di Franco e del franchismo prima di leggere, qualche anno fa, L'ombra del vento di Zafòn. Avevo letto della guerra civile spagnola in Mentre l'Inghilterra dorme di David Leavitt, e in seguito in Fatto di sangue di Sebastià Alzamora, ma della Spagna che è uscita da quella guerra civile sono ancora piuttosto ignorante. Questo libro mi ha aiutato a comprendere meglio come fosse la vita nel durante, ed è il durante che mi manca.
Ma torniamo alla trama. Ferran e il fratello minore Pepìn, rimangono orfani molto presto. Tuttavia non è che ne soffrano particolarmente; la madre era troppo presa dal dolore per la morte del marito per riuscire ad amarli del tutto, e i due adorano gli zii e il nonno che li accolgono a braccia aperte. È la loro adolescenza, e la loro prima età adulta, ciò che Ferran racconta. Della scuola gestita dai preti, delle loro uscite al giovedì sera per andare al cinema, del ritorno col tram in cui facevano di tutto per strusciarsi contro le studentesse della scuola femminile.
Una cosa che mi ha particolarmente colpita, non per la propria presenza, ma piuttosto per il fatto che non mi ha infastidita, è la prospettiva totalmente maschile del romanzo. I personaggi femminili sono pochi, e mi pare ci sia una qualche barriera che impedisce al Ferran-personaggio di capirli del tutto; non si tratta di una cancellazione attiva e volontaria di una prospettiva duplice in favore di una visione che penda unicamente da un lato, tutt'altro. Forse è per questo che la cosa non mi ha minimamente disturbata. Ho avuto l'impressione che, anziché erigere un muro, Ferran se ne sia trovato uno davanti, e non sapendo come scavalcarlo, si sia risolto a raccontare ciò che vedeva dal suo lato.
Whisky e chicchi di caffè è Ferran, è Valencia, è la Spagna e, soprattutto, la famiglia di Ferran. Gli zii – l'indomito Tomàs e il dolce Ramonet – e il nonno saggio, comprensivo; gli amici e i colleghi di Tomàs, il mondo lavorativo in cui avvolge i nipoti. È una famiglia “bella”, di cui mi è piaciuto leggere. Forse perché non viene né idealizzata né peggiorata ai fini di una maggiore drammatizzazione. Forse per il tacito accordo al voler stare bene tutti insieme.
Ad ogni modo, ho gradito immensamente questo libro, e penso si sia notato abbastanza perché non debba sottolinearlo ulteriormente. Diamine se lo consiglio.