Ieri,
tra un paragrafo e l'altro della tesi, sono tornata a scribacchiolare un
po'. Non che ne sia scaturito qualcosa di particolarmente buono, anzi, delle sei-sette pagine che mi sono uscite ne salvo giusto mezza, però è confortante sapere
che quando vuoi sai ritrovare il ritmo perduto. Faccio questa
precisazione perché il tema dell'odierno post mi girellava in testa
da un po', solo che, non avendo più messo mano alla tastiera se non
per chiacchierare di trame altrui, non mi sentivo granché
legittimata a scrivere di scrittura. Non che l'assenza di cotanta
rubrica porti i più alla disperazione, ma comunqe.
Dunque,
la malattia del rinchiudersi in un genere, non perché lo si
preferisca, beninteso, ma perché ci si ritrova intrappolati. Capita,
credo. Almeno, a me è capitato, e magari il malessere di uno è indicativo di una moltitudine di malesseri.
Un
tempo scrivevo di tutto, veramente di tutto. Dall'horror al
fantastico, dalle storie di guerra a pipponi mezzo sentimentali senza
capo né coda, e innumerevoli tripudi di storie sul passaggio
dall'adolescenza all'età adulta, roba che Holden confrontato ai miei
protagonisti era un allegro compagnone. Poi non so bene cosa sia
successo, ma mi sono ritrovata che non c'era trama che mi passasse
per la mente cui io non appiccicassi elementi magici. Da qualsiasi
punto partissi, che volessi raccontare di un avvenimento drammatico o
elaborare una storiella divertente, finivo sempre col rendere tutto
fantastico. Tutto. Così, a caso. Per gradire. Infradiciavo le mie
trame di magia in quanto, e mi ero proprio stampata in testa questa
massima, “Tutto è meglio con un po' di magia”. Il che non è
sempre vero né sempre sbagliato. Sicuramente sarebbe tutto un altro
Holden, quello che ha la possibilità di sparare schiantesimi sulle
anatre.
Penso
di essermi ingabbiata nel periodo in cui sono rimasta invischiata in
una storia che ancora progetto di scrivere, ma che per il momento ho
accantonato, perché non sono ancora pronta a scriverla. È una
storia che ho a cuore, che è piena di me e che a rivederla pure da
lontano mi piace un sacco, e che per anni ho riscritto e cancellato,
iniziato daccapo e cancellato di nuovo. Continua a cambiarmi sotto le
dita e praticamente non mi sono dedicata ad altro fino all'anno
scorso. Decidere di metterla da parte è stato duro ma necessario. Il
problema è che dopo anni di assoluta devozione il mio cervello era
rimasto impregnato del genere di quella storia, e non riusciva più a
produrre niente che non fosse quantomeno urban-fantasy. Almeno credo
che l'ingabbiamento sia iniziato così. Magari qualcosa di diverso
riusciva a giungermi da una fortuita convergenza di sinapsi, solo che
nel giro di pochi arrovellamenti tornava a imporsi la massima sulla
magia come suprema panacea di ogni trama, e finiva per spazzare via
tutto il resto.
Solo
da qualche mese, finalmente, sono riuscita a fuoriuscire dalla gabbia
del fantastico. Che rimane il mio genere preferito, perché che
diamine, la magia non migliorerà proprio tutto, però ci si
avvicina. Per dire, io un Holden che schianta le anatre l'avrei
adorato. Ma sono contenta di essermi riscoperta in grado di pensare
ad altro e, nonostante ogni tanto mi torni la tentazione di infilare
vampiri e strigi nella storia che sto – lentameeeeeente –
scrivendo, riesco a resistere senza problemi.
Ovviamente
non sto dicendo che tutti coloro che restano fedeli a un unico
genere siano ingabbiati, giammai. Ma a me personalmente è sempre
piaciuto variare nella creazione di trame, e mi dispiacerebbe
scoprirmi incapace di sviluppare una storia se non in presenza di
magia, quando le uniche storie che sia riuscita a portare a termine –
millenni fa, e oggettivamente pessime – non sono affatto
fantastiche.
A
qualcun altro è mai capitato di ritrovarsi incapace per diverso
tempo di uscire da un determinato genere? E non è che magari mi sto
illudendo di poter vagheggiare tra vari generi, mentre invece sono
già inconsapevolmente votata al fantastico e non riuscirò mai a
scrivere d'altro?
Paranoie
scribacchiolanti.